martedì 12 dicembre 2017


ACCORDI DI BUONUSCITA: L’AVVOCATO DEL LAVORO COMMENTA:


Può capitare che Lavoratore e Datore di Lavoro non abbiano più interesse alla prosecuzione del rapporto di lavoro intercorrente tra gli stessi.


Talvolta tale interesse è comune alle parti oppure, in altri casi, è l’azienda stessa a sondare il terreno, convocando il lavoratore e presentandogli una proposta di chiusura bonaria del rapporto ( la cosiddetta “Buonuscita”), spesso formulata come un’unica alternativa ad un minacciato licenziamento in tronco.


In questa fase è bene che il lavoratore non si sieda da solo al tavolo delle trattative con l’azienda e che si faccia assistere da un Avvocato del Lavoro, anche in considerazione che la controparte opera in tali frangenti quasi esclusivamente con l’ausilio di personale competente in materia  (avvocato del lavoro aziendale / direttore del personale / consulente del lavoro, che conducono direttamente la trattativa con il lavoratore o operano dietro le quinte, suggerendo quale strategia adottare all’azienda).



Per evitare dunque che ci sia questa sproporzionalità di tutela, è bene che il lavoratore si faccia assistere nelle trattative dagli Avvocati del Lavoro del team di Dirittissimo.



Questa fase è di fondamentale importanza e pertanto se portata avanti da avvocati esperti in diritto del lavoro può comportare ottimi vantaggi per il lavoratore, ottenendo ottimi risultati, non solo sotto il profilo delle trattative economiche, ma anche sotto l’aspetto puramente legale nella redazione dell’importante testo di accordo tra le parti (cosiddetto “Tombale”).



Perché affidarsi allo staff di Dirittissimo?


Perché l’assistenza di un team di avvocati del lavoro esperti nel licenziamento consente di possedere una valutazione altamente probabilistica di come potrebbe concludersi l’eventuale processo e dunque di maturare una consapevole aspettativa nelle trattative pregiudiziali volte all’ottenimento della cosiddetta “Buonuscita”.


I nostri legali, esperti anche in diritto del lavoro, approfondiranno il tuo caso, analizzando buste paga, bonus, premi, benefit ed ogni altro elemento economico da valutare nella relativa trattativa.


Tale valutazione, operata da Avvocati del licenziamento, consentirà di affrontare le trattative con la controparte con maggior sicurezza e decisione, elementi imprescindibili per uscirne vincenti.


Quindi non perdere altro tempo! Rivolgiti subito ad un nostro Avvocato del Lavoro e del Licenziamento!


Contatta il 328.2408154 oppure scrivi a: dirittissimo@gmail.com e visita il sito www.dirittissimo.it 










martedì 5 dicembre 2017


LICENZIAMENTO LAVORATRICE MADRE - L’Avvocato del Lavoro commenta:



La sentenza della Suprema Corte di Cassazione, sezione Lavoro, n. 475/2017 in tema di nullità del  licenziamento di una lavoratrice nel periodo protetto.
Con la recente sentenza n. 475 dell’11 gennaio 2017 la Suprema Corte di Cassazione è tornata a precisare i confini dell’operatività delle garanzie per la lavoratrice che si trovi nel c.d. periodo protetto. La Cassazione, nell’accogliere la tesi dell’avvocato del lavoro della ricorrente, ha sancito non la mera illegittimità di un licenziamento comminato in tale periodo ma a comminare la vera e propria nullità dello stesso con ogni effetto di legge. I giudici ricordano che “gli arresti giurisprudenziali della Corte di legittimità sono costanti nell’affermare che il licenziamento intimato alla lavoratrice dall’inizio del periodo di gestazione sino al compimento di un anno di età del bambino è nullo ed improduttivo di effetti ai sensi dell’art. 2 della legge 1204/71; per la qual cosa il rapporto deve ritenersi giuridicamente pendente ed il datore di lavoro inadempiente va condannato a riammettere la lavoratrice in servizio ed a pagarle tutti i danni derivanti dall’inadempimento in ragione del mancato guadagno (tra le molte, Cass., nn. 18357/04; 24349/10). In materia, il Giudice delle Leggi ha stabilito (sentenza n. 61/91) che la violazione dell’art. 2 della legge n. 1204/71 (ora d.lg.vo n. 151/01) è totalmente improduttivo di effetti comportando la nullità del licenziamento comminato alla donna durante la gestazione o il puerperio”.
La stessa decisione ha poi respinto anche il ricorso incidentale presentato dall’avvocato del datore di lavoro.
Per saperne di più rivolgiti ad un nostro Avvocato del Lavoro contattando il 328.2408154 oppure scrivendo a: dirittissimo@gmail.com 

venerdì 1 dicembre 2017



5 CONSIGLI PER RECUPERARE LO STIPENDIO SE IL DATORE DI LAVORO NON PAGA LA BUSTA


Spesso i lavoratori, specialmente di questi tempi, si ritrovano a dover  “fare i conti” con la crisi dell’azienda e a non ricevere gli stipendi concordati. Questi, infatti, vengono sospesi, ridotti e a volte non pagati.
Che fare, allora, in questi casi? In molti si rivolgono, in prima battuta, al sindacato.

E, purtroppo, neanche in questo caso riescono ad ottenere sempre giustizia.

Così non resta che rivolgersi all’avvocato del lavoro.

L’avvocato del lavoro cerca in prima battuta di raggiungere soluzioni non conflittuali, per poi ricorrere al giudice quando proprio ha tentato tutte le carte.


Cosa, allora, potrebbe consigliarvi il vostro legale di fiducia, per recuperare lo stipendio non pagato? L’avvocato del Lavoro ve lo spiega in questo articolo

1)    La diffida
Di sicuro, un atteggiamento inizialmente collaborativo può essere una scelta vincente, specie con le aziende che hanno una momentanea crisi di liquidità. 
La lettera di sollecito (anche detta “messa in mora” o “diffida”) serve anche a interrompere i termini della prescrizione. La lettera viene redatta dall’avvocato del Lavoro e in essa è sempre meglio quantificare con esattezza l’importo dovuto, quanto meno indicando le mensilità e gli altri emolumenti che non sono stati pagati.
Se poi il conteggio è complesso, e include anche rivendicazioni di straordinari e permessi non retribuiti, meglio farsi redigere un conteggio analitico da un consulente del lavoro (documento che, eventualmente, potrà anche essere allegato alla lettera di diffida).

2)    La conciliazione alla DTL

La Direzione Territoriale del Lavoro è un organo che si trova in tutte le province (ha infatti sostituito la vecchia DPL, Direzione Provinciale del Lavoro). Tra i suoi compiti vi è quello di svolgere dei tentativi di conciliazione tra lavoratori e datore di lavoro (tentativi che, una volta, dovevano essere esperiti obbligatoriamente prima di fare la causa in tribunale; oggi invece sono liberi e volontari).
Il tentativo di conciliazione, che si svolge davanti a un avvocato del Lavoro e uno dell’azienda, con un presidente della commissione, è gratuito e relativamente breve (tutto si svolge in una udienza o al massimo due). A seconda del carico di lavoro dell’ufficio, la convocazione delle parti viene effettuata a distanza di poche settimane dalla richiesta.
Su richiesta dell’Avvocato del lavoro, la DTL comunicherà poi alle parti la data dell’incontro. In tale sede, il mancato raggiungimento dell’accordo non ha alcuna ripercussione né sanzione per entrambe le parti. Al contrario, il verbale di accordo diventa titolo esecutivo e consente al lavoratore – in caso di inadempimento del datore – di andare direttamente dall’ufficiale giudiziario per il pignoramento (previa notifica dell’atto di precetto). Ma per questo è necessario comunque valersi di un avvocato che spiegherà meglio la procedura.

3) La negoziazione assistita

Lo strumento è stato appena inserito dalla nuova riforma della giustizia e richiede la presenza degli avvocati del lavoro di entrambe le parti. Anch’esso è un sistema di risoluzione stragiudiziale della controversia, che mira a tentare un accordo bonario tra le parti.

4) Tentativo di conciliazione monocratico

Sempre presso la DTL il lavoratore può chiedere l’intervento di un ispettore che verifichi se il datore è in regola con le norme lavoristiche e contributive. Come lo strumento della conciliazione, anche questo è volontario, facoltativo.

A differenza dell’altro tentativo di conciliazione in DTL, in tal caso, se non si raggiunge l’accordo, scatta una verifica presso la sede del datore per accertare (con acquisizione di documentazione e testimonianze) se il rapporto di impiego si è svolto correttamente o meno. E, in quest’ultimo caso, potrebbero essere comminate all’azienda sanzioni particolarmente rilevanti.

5) Ricorso in Tribunale

La carta del tribunale è sicuramente l’ultima strada da considerare: sia per i tempi che comporta, sia per i costi, sia soprattutto per la forte conflittualità che si potrebbe creare tra le parti in causa.
Tuttavia, se l’azienda è a rischio insolvenza e, quindi, in procinto di fallimento, forse è meglio non aspettare e procedere subito con la via giudiziale: in tal modo vi procurereste subito un titolo da spendere poi, in caso di fallimento, innanzi al giudice delegato e ottenere più velocemente il pagamento.


Se desideri un contatto telefonico o un appuntamento chiama il 328.2408154 oppure scrivi a: dirittissimo@gmail.com!

Uno dei nostri avvocati del lavoro sarà subito a disposizione per Te.

mercoledì 29 novembre 2017



RECUPERO MENSILITA’ ARRETRATE E TFR

Capita di frequente, soprattutto nel recente periodo di crisi economica, che tanti Lavoratori ci
raccontino di essere stanchi di vane promesse di futuri pagamenti da parte del datore di lavoro e di voler agire per ottenere il pagamento di quanto dovuto.

In queste situazioni, gli Avvocati del Lavoro, valutano come poter intervenire immediatamente per il recupero delle retribuzioni dovute e non ancora corrisposte.

Occorre valutare diversi aspetti, ciascuno dei quali può portare a differenti soluzioni proposte da un nostro Avvocato del Lavoro: a titolo esemplificativo, ci si deve chiedere se il rapporto di lavoro è ancora in essere, se la società è attiva, se il lavoratore possiede le relative buste paga, etc.

Tale valutazione dà la possibilità ad un avvocato del lavoro di stabilire quale sia la strada migliore da intraprendere per il recupero del dovuto: lettera, decreto ingiuntivo, causa giudiziale, denuncia presso la competente Direzione Territoriale del Lavoro , etc.

Se anche tu devi recuperare degli stipendi arretrati o non ti è stato pagato parte o tutto il TFR, consigliamo di rivolgerti ad un avvocato del lavoro e non perdere altro tempo!

Contatta il 328.2408154 oppure scrivi a: www.dirittissimo.com per raccontare il Tuo caso al giuslavorista!

martedì 28 novembre 2017





TARDIVA CONTESTAZIONE DISCIPLINARE E LICENZIAMENTO - L’Avvocato del Lavoro commenta:

Rischia il Licenziamento il lavoratore che riceva una Lettera Disciplinare 4 mesi dopo i fatti oggetto di contestazione? Quando il lavoratore può impugnare con successo l’eventuale licenziamento?
risponde l’Avvocato del Lavoro.

Cari lettori, l’Avvocato del Lavoro in questo articolo affronta una questione molto delicata e assai frequente nel mondo del lavoro: può il datore di lavoro contestare un episodio a rilevanza disciplinare a diversi mesi di distanza dall’accadimento dei relativi fatti?

Spesso infatti accade che ai Nostri Avvocati del Lavoro si rivolgano lavoratori che hanno appena ricevuto una lettera di Licenziamento disciplinare (giusta causa o giustificato motivo oggettivo) e ci chiedano di valutare se l’eventuale licenziamento possa essere impugnato con successo.

In merito a tale argomento, l’Avvocato del Lavoro ritiene doveroso un chiarimento preliminare: lo Statuto dei Lavoratori (Art. 7 L. 300/70), espressamente prevede che il datore debba contestare preventivamente i fatti oggetto dell’eventuale e successivo licenziamento. Pertanto il lavoratore che abbia ricevuto direttamente un licenziamento disciplinare senza alcuna preventiva lettera di contestazione, deve immediatamente rivolgersi ad un Avvocato del Lavoro (clicca per contattarci senza impegno), per procedere con certo successo all’impugnazione del licenziamento !

Dopo tale doverosa promessa, l’Avvocato del Lavoro deve ora affrontare il tema della tempestività della contestazione disciplinare: sempre lo Statuto dei Lavoratori, stabilisce che il Datore di Lavoro debba comunicare la contestazione disciplinare in modo “tempestivo”. In caso contrario infatti la non immediatezza della contestazione disciplinare o del relativo licenziamento, indurrebbe a ritenere che lo stesso abbia soprasseduto al licenziamento, ritenendo i fatti oggetto di contestazione come non gravi o comunque non meritevoli della sanzione disciplinare più grave (licenziamento).

Pertanto sarà compito dell’Avvocato del Lavoro valutare se la contestazione e/o il licenziamento disciplinare abbiano rispettato il requisito della “tempestività.

Quest’ultimo a seconda dei casi potrà essere di estensione temporale più o meno ampia a seconda di numerosi fattori, relativi soprattutto al tempo necessario per il datore di lavoro per l’accertamento e la valutazione dei fatti, in considerazione della particolarità degli stessi, delle relative necessarie indagini ed al grado di complessità della struttura organizzativa aziendale.

L’Avvocato del Lavoro precisa che tale orientamento è stato confermato anche da una recente sentenza della Suprema Corte (Cass. Sez. Lav. 11 maggio 2016, n. 9680).

Quest’ultima, in relazione ad un’impugnazione di licenziamento presentata da un collega Avvocato del Lavoro avverso un licenziamento per giusta causa impartito ad una lavoratrice rea di aver utilizzato in modo improprio ed a proprio vantaggio una tessera fedeltà aziendale di un cliente, ha stabilito l’illegittimità del recesso e la relativa reintegra della lavoratrice.

Ciò in base alla non tempestività del licenziamento (effettuato a distanza di 4 mesi dai fatti oggetto di causa), in quanto l’improprio utilizzo della tessera fedeltà era da qualificare come comportamento di immediata conoscibilità da parte della società datrice di lavoro.

Pertanto solo rivolgendosi ad un esperto Avvocato del Lavoro, il lavoratore potrà valutare se il demansionamento subito costituisca un vulnus così grave ed irreparabile alla propria professionalità tale da legittimare il rifiuto immediato dello stesso a svolgere la prestazione lavorativa, senza neppure attendere il relativo accertamento giudiziario e senza veder correre il rischio di subire un licenziamento.

Vuoi saperne di più e valutare se che anche tu hai diritto a rifiutare il demansionamento, senza rischiare un licenziamento?

Contatta il 328.2408154 oppure scrivi a: dirittissimo@gmail.com 

Possibilità di appuntamento presso le nostre sedi di Milano o di Torino.

martedì 21 novembre 2017


DIRITTO DEL LAVORO


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Contatta i Legali di Dirittissimo al: 328.2408154 o scrivi a: dirittissimo@gmail.com
DIRITTO DEL LAVORO -
 
 
 
 




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 SEZIONE PREVIDENZIALE

Controllate i cedolini della pensione e verificate se vi è stata accreditata la quattordicesima. Di fatto alcuni pensionati non l'avrebbero ricevuta pur avendone diritto




http://www.ilgiornale.it/news/cronache/quattordicesima-non-accreditata-fare-ricorso-1465100.html



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SEZIONE PREVIDENZIALE -

La sentenza è arrivata. Niente rivalutazione completa delle pensioni con l'ok della Consulta al decreto Poletti. Ecco il salasso per i pensionati



http://www.ilgiornale.it/news/cronache/rivalutazione-perdite-fino-25mila-euro-i-pensionati-1456726.html


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 SEZIONE PREVIDENZIALE - Ricorso rimborso sulla pensione



www.ilgiornale.it/news/cronache/ricorso-ottenere-rimborso-sulla-pensione-1366563.html



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SEZIONE PREVIDENZIALE -  I Diritti dei pensionati



www.ilgiornale.it/news/economia/cos-renzi-ignora-i-diritti-dei-pensionati-1236585.html


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giovedì 16 novembre 2017




III. DEMANSIONAMENTO E LICENZIAMENTO - L’Avvocato del Lavoro commenta:

Rischia il Licenziamento il lavoratore che si rifiuti di svolgere mansioni inferiori?
risponde l’Avvocato del Lavoro.

Cari lettori, l’Avvocato del Lavoro in questo articolo chiarirà una questione molto dibattuta nel diritto del Lavoro: può il lavoratore rifiutarsi si svolgere mansioni inferiori rispetto all’inquadramento contrattuale senza rischiare un legittimo licenziamento ?

Spesso infatti accade che un lavoratore, a cui vengano assegnate nuove mansioni, anche palesemente inferiori rispetto alla propria qualifica, ritenga di potersi avvalere del diritto di astenersi dallo svolgimento delle stesse senza ricorrere in alcun rischio di licenziamento.

Nulla di più errato !

Sul tema infatti è consolidato l’orientamento giurisprudenziale, anche di Cassazione, secondo il quale il lavoratore a cui vengano assegnate mansioni inferiori (“demansionamento”) non possa astenersi dal prestare l’attività lavorativa, potendo costui esclusivamente agire in giudizio, mediante l’assistenza di un buon Avvocato del Lavoro, per veder riconosciuto il demansionamento subito e dunque chiedere al giudice adito di ordinare l’assegnazione a mansioni adeguate oltre ad diritto ad un risarcimento di natura economica.

L’Avvocato del Lavoro infatti precisa che tale orientamento è stato confermato anche da una recente sentenza di della Suprema Corte (Cass. Sez. Lav. 5 maggio 2016, n. 9060) la quale, su ricorso presentato da un Avvocato del Lavoro avverso un licenziamento per giusta causa, ha chiarito che il lavoratore possa agire unicamente per far ricondurre le proprie mansioni alla categoria di appartenenza, dovendo quindi - nelle more del giudizio – svolgere le mansioni – anche chiaramente demansionanti – allo stesso assegnate dal datore di lavoro, ai sensi degli artt.  2086 e 2104. c.c..

Per il lavoratore però vi è un’unica possibilità di rifiutarsi, senza rischiare di incorrere in un  licenziamento: se il demansionamento patito sia così grave da “incidere irrimediabilmente sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo” (Cass. Sez. Lav. 20 luglio 2012, n. 12696).

Pertanto solo rivolgendosi ad un esperto Avvocato del Lavoro, il lavoratore potrà valutare se il demansionamento subito costituisca un vulnus così grave ed irreparabile alla propria professionalità tale da legittimare il rifiuto immediato dello stesso a svolgere la prestazione lavorativa, senza neppure attendere il relativo accertamento giudiziario.


 Vuoi saperne di più e valutare se che anche tu hai diritto a rifiutare il demansionamento, senza rischiare un licenziamento per giusta causa? 

Contatta i Legali di Dirittissimo al: 328.2408154 o scrivi a: dirittissimo@gmail.com 

Possibilità di appuntamenti presso la nostra sede di Milano o Torino. 

mercoledì 8 novembre 2017




ATTENZIONE: VERIFICARE SE AVETE RICEVUTO LA QUATTORDICESIMA SULLA PENSIONE

Ai pensionati con più di 64 anni (i nati prima del primo gennaio 1954) con un reddito complessivo individuale annuo fino a 13.049,14 euro (due volte il trattamento minimo, circa 1.000 euro al mese). Non conta quindi il reddito del coniuge né i beni che dovesse avere il pensionato se non danno reddito. La somma viene corrisposta una volta l'anno. La quattordicesima non spetta sui trattamenti pensionistici ai lavoratori extracomunitari rimpatriati.

QUALI SONO GLI IMPORTI DI QUATTORDICESIMA?


I pensionati con redditi fino a 9.786,86 euro annui, ovvero circa 752 euro al mese per 13 mensilità, per i quali la somma aggiuntiva era già prevista dal 2007 vedranno aumentare l'importo che sarà pari a 437 euro se si hanno fino a 15 anni di contributi, a 546 euro se si hanno da 15 a 25 anni di contributi e a 655 euro se si hanno oltre 25 anni di contributi. I pensionati che hanno un reddito tra 9.786,87 euro e 13.049,14 euro riceveranno una somma variabile tra 336 euro (se hanno fino a 15 anni di contributi) e 504 euro (con più di 25 anni di contributi).

Ai pensionati che hanno tra i 15 e i 25 anni di contributi verranno corrisposti 420 euro. Per i pensionati da lavoro autonomo si considerano tre anni di contributi in più rispetto ai dipendenti.

QUANDO?


La quattordicesima viene corrisposta insieme al rateo di luglio (1 luglio se si ha il conto alle Poste, 3 luglio se si ha il conto in Banca) se si perfeziona il requisito anagrafico nel primo semestre mentre sarà corrisposta a dicembre se si raggiungono i 64 anni nel secondo semestre del 2017. Il beneficio viene erogato in via provvisoria sulla base dei redditi presunti e sarà verificato appena si conosceranno le informazioni consuntivate dei redditi 2016, o nel caso di prima concessione, del 2017.

Se non avete ricevuto la quattordicesima e avete i requisiti per riceverla, potete scrivere a: dirittissimo@gmail.com o chiamare il 328.2408154



lunedì 9 ottobre 2017

MALATTIA SUL LAVORO. ATTENZIONE ALLE NUOVE REGOLE DA RISPETTARE PER EVITARE IL LICENZIAMENTO!



Intervista ad un nostro giuslavorista. Per maggiori info scrivi a: dirittissimo@gmail.com o contatta il 328.2408154


Clicca qui: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ecco-tutte-nuove-regole-malattia-e-visite-fiscali-1449687.html

mercoledì 13 settembre 2017

RECLAMO CONTRO LE COMPAGNIE TELEFONICHE


-Malfunzionamento della linea telefonica;

-errore nella fatturazione;

-reiterati disservizi di varia natura.

Le grandi compagnie telefoniche prevedono delle procedure per la gestione dei reclami provenienti dai loro clienti e nella maggior parte dei casi, dedicano apposite sezioni all’interno dei loro siti, dove è possibile trovare moduli standard di reclamo da compilare ed inviare.

Nel sito di ogni operatore normalmente è possibile trovare una sezione, c.d. customer care, in cui sono descritte le modalità con cui effettuare il reclamo alle compagnie telefoniche.

È importante questo passaggio per consentire all’operatore di riconoscere il disservizio ed, eventualmente, risolverlo, facendo venire meno di conseguenza anche qualsiasi sua responsabilità.
In una successiva ed eventuale fase di contenzioso questo comporta il rigetto della vertenza dell’utente.

Prima di procedere giudizialmente, è sempre consigliabile inviare tramite l’ausilio di un legale, una diffida alla compagnia telefonica.

Obbligo della compagnia è gestire il problema  entro 45 giorni.

È possibile, infatti che una volta inviato il reclamo attraverso la diffida, lo stesso venga accettato, o, nella peggiore delle ipotesi, respinto e tale rifiuto deve comunque essere motivato.
In questo caso, se il consumatore decide di procedere con la contestazione, prima di presentarsi davanti all’autorità giudiziaria, è prevista una fase intermedia obbligatoria ovvero l’obbligo di esperire il tentativo di conciliazione obbligatorio davanti alle autorità a tal fine preposte: il CORECOM, a livello regionale, e l’AGCOM,  a livello nazionale.
Per la conciliazione è consigliabile che l’utente si faccia assistere e rappresentare da un legale o da una persona di fiducia a cui è stata conferita un’apposita delega.

La competenza territoriale dell’organo viene determinata, in caso di linea telefonica fissa, in base al luogo in cui si trova la postazione dell’utente, negli altri casi, al domicilio indicato dall’utente al momento della conclusione del contratto o, in mancanza, presso la sua residenza o sede legale.

Senza dubbio, riuscire a chiudere la posizione durante la conciliazione, prima di adire il Giudice, avvantaggia il consumatore in termini di costi/benefici e di tempo, rispetto all’instaurazione di una procedura davanti all’autorità giudiziaria ordinaria che implicherebbe una maggior spesa e tempo.

Al termine del tentativo di conciliazione possono verificarsi due situazioni:

a)proposta della compagnia accettata dal consumatore; si conclude la controversia.
b) proposta della compagnia non accettata; il consumatore deciderà di instaurare un giudizio davanti all’autorità giudiziaria ordinaria competente.
Se ti è capitato un caso del genere e hai problemi con la compagnia telefonica, puoi contattare Dirittissimo anche per un consiglio!





giovedì 7 settembre 2017


TARDIVA CONTESTAZIONE DISCIPLINARE E LICENZIAMENTO - L’Avvocato del Lavoro commenta:

Rischia il Licenziamento il lavoratore che riceva una Lettera Disciplinare 4 mesi dopo i fatti oggetto di contestazione? Quando il lavoratore può impugnare con successo l’eventuale licenziamento?
risponde l’Avvocato del Lavoro.

Cari lettori, l’Avvocato del Lavoro in questo articolo affronta una questione molto delicata e assai frequente nel mondo del lavoro: può il datore di lavoro contestare un episodio a rilevanza disciplinare a diversi mesi di distanza dall’accadimento dei relativi fatti?

Spesso infatti accade che ai Nostri Avvocati del Lavoro si rivolgano lavoratori che hanno appena ricevuto una lettera di Licenziamento disciplinare (giusta causa o giustificato motivo oggettivo) e ci chiedano di valutare se l’eventuale licenziamento possa essere impugnato con successo.

In merito a tale argomento, l’Avvocato del Lavoro ritiene doveroso un chiarimento preliminare: lo Statuto dei Lavoratori (Art. 7 L. 300/70), espressamente prevede che il datore debba contestare preventivamente i fatti oggetto dell’eventuale e successivo licenziamento. Pertanto il lavoratore che abbia ricevuto direttamente un licenziamento disciplinare senza alcuna preventiva lettera di contestazione, deve immediatamente rivolgersi ad un Avvocato del Lavoro, per procedere con certo successo all’impugnazione del licenziamento !

Dopo tale doverosa promessa, l’Avvocato del Lavoro deve ora affrontare il tema della tempestività della contestazione disciplinare: sempre lo Statuto dei Lavoratori, stabilisce che il Datore di Lavoro debba comunicare la contestazione disciplinare in modo “tempestivo”. In caso contrario infatti la non immediatezza della contestazione disciplinare o del relativo licenziamento, indurrebbe a ritenere che lo stesso abbia soprasseduto al licenziamento, ritenendo i fatti oggetto di contestazione come non gravi o comunque non meritevoli della sanzione disciplinare più grave (licenziamento).

Pertanto sarà compito dell’Avvocato del Lavoro valutare se la contestazione e/o il licenziamento disciplinare abbiano rispettato il requisito della “tempestività.

Quest’ultimo a seconda dei casi potrà essere di estensione temporale più o meno ampia a seconda di numerosi fattori, relativi soprattutto al tempo necessario per il datore di lavoro per l’accertamento e la valutazione dei fatti, in considerazione della particolarità degli stessi, delle relative necessarie indagini ed al grado di complessità della struttura organizzativa aziendale.

L’Avvocato del Lavoro precisa che tale orientamento è stato confermato anche da una recente sentenza della Suprema Corte (Cass. Sez. Lav. 11 maggio 2016, n. 9680).

Quest’ultima, in relazione ad un’impugnazione di licenziamento presentata da un collega Avvocato del Lavoro avverso un licenziamento per giusta causa impartito ad una lavoratrice rea di aver utilizzato in modo improprio ed a proprio vantaggio una tessera fedeltà aziendale di un cliente, ha stabilito l’illegittimità del recesso e la relativa reintegra della lavoratrice.

Ciò in base alla non tempestività del licenziamento (effettuato a distanza di 4 mesi dai fatti oggetto di causa), in quanto l’improprio utilizzo della tessera fedeltà era da qualificare come comportamento di immediata conoscibilità da parte della società datrice di lavoro.

Pertanto solo rivolgendosi ad un esperto Avvocato del Lavoro, il lavoratore potrà valutare se il demansionamento subito costituisca un vulnus così grave ed irreparabile alla propria professionalità tale da legittimare il rifiuto immediato dello stesso a svolgere la prestazione lavorativa, senza neppure attendere il relativo accertamento giudiziario e senza veder correre il rischio di subire un licenziamento.

Vuoi saperne di più e valutare se che anche tu hai diritto a rifiutare il demansionamento, senza rischiare un licenziamento per giusta causa?  Rivolgiti ad un nostro Avvocato del lavoro clicca su www.dirittissimo.com e contatta l'avvocato del lavoro.
PROCEDURA PER RECUPERO PEREQUAZIONE BLOCCATA


Ricordiamo a tutti coloro interessati che percepiscono una pensione di importo mensile lordo pari o superiore ad Euro 1.405,00 che è ancora possibile attivare la procedura volta al recupero della perequazione bloccata dal 2011!!!!

Le adesioni vengono accettate fino a fine mese (Settembre 2017), pertanto, affrettatevi a scrivere a: dirittissimo@gmail.com o a contattare il 328.2408154.

Importante indicare nella email:

-importo di pensione mensile lordo

-se dipendenti privati o statali

-comune di residenza.






martedì 18 luglio 2017


-SINISTRI STRADALI-
PRIMA CONSULENZA E TRATTAZIONE STRAGIUDIZIALE GRATUITA!!!!



Sei stato vittima di un incidente stradale?! Il nostro studio assieme ad Aspes, associazione servizi al cittadino, prevede un servizio di prima consulenza gratuita (valutazione in merito alla responsabilità delle parti nel sinistro) a tutti i clienti interessati, sia soggetti privati che società che svolgano servizi di trasporto, nonché l’azione di rivalsa del datore di lavoro nei confronti dell’Assicurazione di controparte, nel caso in cui il dipendente si sia infortunato durante l’orario di lavoro e sia nell’impossibilità di svolgere la propria attività di dipendente.

Provvederemo ad effettuare una prima valutazione gratuita del sinistro -fase stragiudiziale- dopo aver esaminato la documentazione utile da voi procurata (a titolo esemplificativo: carta identità e codice fiscale e patente dei conducenti dei veicoli coinvolti, modulo di costatazione amichevole, verbale della Municipale, certificati medici, dati della polizza assicurativa dei veicoli coinvolti) il tutto per verificare se ci sono in concreto gli estremi per una richiesta di risarcimento del danno.

La richiesta di risarcimento può riguardare sia i danni relativi al veicolo, sia i danni relativi alla persona e potrà essere inoltrata sia nell’ipotesi in cui le lesioni siano inferiori al 9% della Tabella relativa al danno biologico prevista dal Tribunale di Milano (lesioni di lieve entità), sia nell’ipotesi che tali lesioni siano superiori al 9% (ovvero lesioni di grave entità).

Svolta la prima consulenza, si procederà con l’invio di una diffida nei confronti dell’assicurazione di controparte, per un costo complessivo di Euro 60,00, oltre oneri accessori.

Per questa fase è previsto:

-studio della documentazione reperita in precedenza;

-redazione della diffida ed invio della stessa;

-trattazione con i periti dell'assicurazione di controparte e con il liquidatore.

N.B. Si specifica che se si desidera inviare anche la lettera di rivalsa del datore di lavoro nei confronti dell’Assicurazione di controparte per infortuni subiti dal lavoratore durante l’orario di lavoro, questa avrà un costo esiguo ulteriore.

Qualora ci fossero lesioni, un ulteriore costo -modesto- che il cliente dovrebbe sostenere è quello relativo alla perizia medica redatta da un nostro consulente affidabile e qualificato, iscritto all’albo dei CTU del Tribunale di Milano.

Una volta liquidato l'importo dalla Compagnia Assicurativa, la stessa provvederà a liquidare il risarcimento per il cliente e le nostre spese legali oltre a quanto anticipato per spese mediche, medicinali e perizia del CTU.

Qualora la Compagnia assicurativa provveda al risarcimento, le spese legali saranno onorate dalla stessa, esclusa la diffida che è già stata anticipata dal cliente.

Nell’ipotesi in cui il liquidatore non dovesse provvedere alla corresponsione delle spese legali, chiederemo al cliente il 10% sul recuperato, oltre oneri accessori.

Nel caso in cui invece il cliente volesse procedere giudizialmente, la situazione sarà differente: sono previsti dei costi vivi da sostenere relativi alla procedura giudiziale e il costo verrà quantificato, a seconda dei casi, volta per volta, ma comunque molto contenuto.

Se sei stato coinvolto in un incidente stradale e necessiti di una consulenza legale, contattaci al 328.2408154 o scrivi a: dirittissimo@gmail.com e racconta il Tuo caso!
l'80% dei casi li risolviamo in via stragiudiziale senza ricorrere al Giudice!


legali Aspes- associazione servizi per il cittadino www.associazioneaspes.org


giovedì 29 giugno 2017

PROCEDURA PER RECUPERO PEREQUAZIONE PENSIONE BLOCCATA DAL 2011

Si informa tutti i lettori che la Corte Costituzionale si riunirà per decidere definitivamente la questione il 24 Ottobre 2017.

Pertanto, per chi volesse ancora procedere e far valere i suoi diritti, è ancora in tempo!!!

Le fasi da seguire sono:

1) far elaborare i conteggi degli arretrati di perequazione che Vi spettano dal 2011

2) inviare, nostro tramite, la diffida interruttiva della prescrizione

3) valutare la fase giudiziale in base anche al risultato dei conteggi

Seguiamo tutta la procedura anche tramite email per chi fosse impossibilitato a recarsi presso i nostri uffici di Milano- Via Lucca 44.

La documentazione necessaria da preparare e da inviare alla email: rivalutazionepensione@gmail.com è la seguente:

-c.i. e c.f. fronte e retro;

-cedolini accreditamento pensione Inps: novembre- dicembre 2011- gennaio 2012-2013-2014-2015-2016-2017

-CUD o 730 dal 2012 al 2017

Per ulteriori informazioni scrivi a: dirittissimo@gmail.com o contatta il: 328.2408154




mercoledì 7 giugno 2017


XIV. PRESCRIZIONE DEI CREDITI DI LAVORO DOPO LA LEGGE FORNERO (per la prescrizione pre-Fornero)

-  L’Avvocato del Lavoro commenta:

Quanto tempo ha il lavoratore per procedere, tramite un Avvocato del Lavoro, per chiedere il pagamento di qualsiasi somma avente natura retributiva?
Perché è possibile sostenere che dopo la Riforma Fornero (2012) lavoratori di aziende piccole e grandi hanno in parte identiche tempistiche?

-risponde l’Avvocato del Lavoro.

Cari lettori, l’Avvocato del Lavoro con questo articolo si pone l’obiettivo di spiegare la durata della prescrizione dei crediti retributivi, ovvero fino a quando il lavoratore può agire in giudizio per vedersi riconoscere somme a titolo retributivo legate allo svolgimento della propria prestazione lavorativa.


Che cosa è cambiato dal 2012 per i lavoratori che vogliano recuperare crediti retributivi legati al rapporto di lavoro (stipendi non pagati, differenze retributive di varia natura, TFR, etc …) ?

Come già specificato la maggior parte dei crediti retributivi legali al rapporto di lavoro hanno una prescrizione quinquennale (ex Art. 2948 c.c., commi 4 e 5).

Se da un lato nulla è mutato circa la decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi per i lavoratori delle cd. “piccole imprese” (fino a 15 dipendenti), diversa è la situazione dei lavoratori dipendenti di imprese con più di 15 dipendenti, per i quali è applicabile indistintamente la Riforma Fornero del 2012 che, come noto, ha ridotto i casi di licenziamento illegittimo per i quali è prevista la reintegrazione, ora sostituita per la maggior parte dei licenziamenti con una tutela meramente risarcitoria (cd. “monetizzazione del licenziamento illegittimo”).

Pertanto la giurisprudenza più recente è stata sollecitata dagli Avvocati del Lavoro a chiedersi se il “timore da recesso” ricorresse ora anche per i dipendenti delle grandi realtà, oggi non più assicurati dal reintegro in servizio in caso di licenziamento illegittimo.

Ovviamente tale riflessione deve essere estesa, a maggior ragione, anche ai lavoratori post Jobs Act a cui si applica il contratto a tutele crescenti, per i quali la tutela “forte” reale non troverà quasi più applicazione, sostituita da una meramente risarcitoria, al pari dei lavoratori delle piccole realtà.

Pertanto pare lecita conseguenza che anche a tali lavoratori debba trovare applicazione una prescrizione non più in costanza di rapporto, ma dal momento della cessazione dello stesso.

In tal senso, a seguito di ricorsi presentati da Avvocati del Lavoro di Milano e Torino, si sono pronunciati rispettivamente i giudici Di Leo e Croci (Trib. Milano Sez. Lav. 16 dicembre 2015 e Trib. Torino Sez. Lav. 25 maggio 2016) affermando che fino al luglio 2012 i crediti retributivi siano caratterizzati da prescrizione in costanza di rapporto e successivamente il termine risulta sospeso (Rivista Guida al Lavoro, n.29/2016, pag. 36 e ss.).

In conclusione, è opportuno che il lavoratore, desideroso di intraprendere un’azione volta al recupero di uno stipendio non pagato, del mancato riconoscimento di straordinari e ferie, del non pagamento del TFR e delle competenze di fine rapporto o altri crediti di natura retributiva, si rivolga ad un Avvocato del Lavoro per verificare preventivamente se è ancora nella possibilità di esercitare tale diritto, ed in caso positivo, procedere con la dovuta azione giudiziaria a tutela dei propri interessi.



Vuoi saperne di più sull’argomento e conoscere se sei ancora in tempo per recuperare il tuo credito di lavoro? Rivolgiti ad un nostro Avvocato del Lavoro!

Scrivi a dirittissimo@gmail.com

martedì 9 maggio 2017

TERMINI IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO



TERMINI IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO

- L’Avvocato del Lavoro commenta:

Quali sono i termini di impugnazione del licenziamento ? E quali le conseguenze se il lavoratore non rispetta la decadenza e la prescrizione ?

-risponde l’Avvocato del Lavoro.


Cari lettori, l’Avvocato del Lavoro in questo breve articolo suole affrontare un aspetto molto delicato dell’impugnazione del licenziamento, commentando una recente Sentenza della Corte di Cassazione (Cass. Sez. Lav. 19 maggio 2016, n. 10343) sul tema.

E’ purtroppo già accaduto che ai Nostri Avvocati del Lavoro si siano rivolti lavoratori che volevano impugnare il proprio licenziamento, ma purtroppo erano ormai preclusi da tale azione, in quanto erano già scaduti i termini di prescrizione e decadenza per esercitare tale diritto.

Vediamo quindi ora quali sono questi due diversi termini e come possono essere esercitati dal lavoratore licenziato.

Il nostro ordinamento prevede due termini relativi all’impugnazione del licenziamento: un primo più breve, pari a 60 giorni, per impugnare il licenziamento tramite una comunicazione scritta inviata al datore di lavoro (Art. 6 L. 604/66). Tale termine di decadenza decorre dal giorno in cui il lavoratore ha ricevuto la lettera di licenziamento.

In tale primo atto di impugnazione, è consigliabile che il lavoratore si faccia assistere da un buon Avvocato del Lavoro, poiché anche un semplice errore in tale fase può precludere l’intera azione di impugnazione del licenziamento. La lettera di impugnazione deve contenere i riferimenti del licenziamento che si vuole impugnare, deve essere sottoscritta personalmente dal lavoratore (oltre che dall’eventuale Avvocato del Lavoro che lo assiste), il quale deve porre la propria formale messa a disposizione per la ripresa dell’attività e si intende tempestivamente effettuata qualora la spedizione della stessa avvenga entro e non oltre il sessantesimo giorno (vale il giorno della spedizione, anche se ricevuta oltre tale termine dal datore).

Tale atto di impugnazione di licenziamento può essere sostituito anche dal deposito del ricorso giudiziale, ma tale scelta appare criticabile dell’Avvocato del Lavoro in quanto verrebbe meno la prima fase di eventuale trattativa bonaria tra lo stesso Avvocato del Lavoro e la controparte (o suo legale) che molto frequentemente può concludersi per il lavoratore con un ottimo risultato, molto simile a quello dell’eventuale e successivo giudizio.

Dalla data di spedizione della lettera di impugnazione del licenziamento quindi decorre il secondo termine, questo di 180 giorni, entro il quale l’Avvocato del Lavoro che assiste il lavoratore licenziato potrà depositare il ricorso giudiziale, a pena di prescrizione.

Nella sentenza della Suprema Corte in commento, si ribadisce il principio per cui, qualora il lavoratore non rispetti i termini di decadenza (60 giorni) e prescrizione (180 giorni) per l’impugnazione del licenziamento, gli sarà precluso il diritto di far accertare giudizialmente l’eventuale illegittimità dello stesso e di conseguire il relativo risarcimento del danno nella misura prevista dalle due alternative discipline applicabili al caso de quo (Art. 8, L. 604/66 oppure Art. 18, L. 300/70).

Pertanto solo rivolgendosi ad un esperto Avvocato del Lavoro, il lavoratore potrà sapere preventivamente se, al di là del merito, è ancora nei termini per esercitare il proprio diritto all’impugnazione del licenziamento.



Vuoi saperne di più e sapere se che anche tu hai ancora diritto ad impugnare il licenziamento ed ottenere il relativo risarcimento e/o reintegrazione nel posto di lavoro?
Rivolgiti ad un nostro Avvocato del Lavoro

Per contatti scrivi a: dirittissimo@gmail.com o chiama il 328.2408154!




III. DEMANSIONAMENTO E LICENZIAMENTO - L’Avvocato del Lavoro commenta:

Rischia il Licenziamento il lavoratore che si rifiuti di svolgere mansioni inferiori?
risponde l’Avvocato del Lavoro.


Cari lettori, l’Avvocato del Lavoro in questo articolo chiarirà una questione molto dibattuta nel diritto del Lavoro: può il lavoratore rifiutarsi si svolgere mansioni inferiori rispetto all’inquadramento contrattuale senza rischiare un legittimo licenziamento ?

Spesso infatti accade che un lavoratore, a cui vengano assegnate nuove mansioni, anche palesemente inferiori rispetto alla propria qualifica, ritenga di potersi avvalere del diritto di astenersi dallo svolgimento delle stesse senza ricorrere in alcun rischio di licenziamento.

Nulla di più errato !

Sul tema infatti è consolidato l’orientamento giurisprudenziale, anche di Cassazione, secondo il quale il lavoratore a cui vengano assegnate mansioni inferiori (“demansionamento”) non possa astenersi dal prestare l’attività lavorativa, potendo costui esclusivamente agire in giudizio, mediante l’assistenza di un buon Avvocato del Lavoro, per veder riconosciuto il demansionamento subito e dunque chiedere al giudice adito di ordinare l’assegnazione a mansioni adeguate oltre ad diritto ad un risarcimento di natura economica.

L’Avvocato del Lavoro infatti precisa che tale orientamento è stato confermato anche da una recente sentenza di della Suprema Corte (Cass. Sez. Lav. 5 maggio 2016, n. 9060) la quale, su ricorso presentato da un Avvocato del Lavoro avverso un licenziamento per giusta causa, ha chiarito che il lavoratore possa agire unicamente per far ricondurre le proprie mansioni alla categoria di appartenenza, dovendo quindi - nelle more del giudizio – svolgere le mansioni – anche chiaramente demansionanti – allo stesso assegnate dal datore di lavoro, ai sensi degli artt.  2086 e 2104. c.c..

Per il lavoratore però vi è un’unica possibilità di rifiutarsi, senza rischiare di incorrere in un  licenziamento: se il demansionamento patito sia così grave da “incidere irrimediabilmente sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo” (Cass. Sez. Lav. 20 luglio 2012, n. 12696)

Pertanto solo rivolgendosi ad un esperto Avvocato del Lavoro, il lavoratore potrà valutare se il demansionamento subito costituisca un vulnus così grave ed irreparabile alla propria professionalità tale da legittimare il rifiuto immediato dello stesso a svolgere la prestazione lavorativa, senza neppure attendere il relativo accertamento giudiziario.

Vuoi saperne di più e valutare se che anche tu hai diritto a rifiutare il demansionamento, senza rischiare un licenziamento per giusta causa?  Rivolgiti ad un nostro Avvocato del Lavoro!

Per contatti scrivi a: dirittissimo@gmail.com o chiama il 328.2408154!

mercoledì 12 aprile 2017


PROCEDURA PER OTTENERE LA RIVALUTAZIONE DELLE PENSIONI:


IMPORTANZA DI RIVOLGERSI AD UN AVVOCATO DI DIRITTO PREVIDENZIALE



Cari lettori, in questo articolo si vuole sottolineare l’importanza di rivolgersi ad un Avvocato di diritto previdenziale soprattutto in merito ad una questione molto dibattuta negli ultimi tempi: la PEREQUAZIONE DELLE PENSIONI.

L’avvocato previdenziale tutela i diritti dei pensionati anche in tal senso, cercando di

illustrarvi i fatti salienti e gli elementi di diritto di una materia complessa, quale quella previdenziale, spiegando come concretamente riottenere la rivalutazione della propria pensione.

ITER LEGISLATIVO


L'art. 69 comma 1, della Legge 23.12.2000 n. 388 disciplina compiutamente la materia della perequazione delle pensioni. L'articolo in discussione prevede l'applicazione della perequazione nella misura del 100% per la fascia di importo dei trattamenti pensionistici fino a 3 volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 90% per la fascia di importo dei trattamenti pensionistici compresa tra 3 e 5 volte il predetto trattamento e nella misura del 75% per la fascia di importo dei trattamenti superiore a 5 volte il medesimo trattamento minimo.

Il Governo Monti ha emanato il decreto legge n. 201/2011, meglio conosciuto come “Legge Salva Italia”, al cui art. 24 comma 25, ha disposto il blocco della perequazione automatica delle pensioni per gli anni 2012 e 2013 (a partire dal trattamento minimo lordo pari ad €.1.405,05=).

La Corte costituzionale è intervenuta con sentenza n. 70 del 2015 dichiarando incostituzionale l'art 24 comma 25 della Legge n. 201 del 2011, in quanto lo ha ritenuto lesivo dei “diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale e fondati su inequivocabili parametri costituzionali quali a titolo esemplificativo: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l’adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.)".

La suddetta Corte ha dunque ritenuto illegittimo il blocco per due anni della rivalutazione delle pensioni.

Il Governo, con l’obbiettivo di risolvere una tale situazione, è intervenuto nel mese di maggio 2015 per definire il meccanismo con il quale restituire parte della perdita d’acquisto, negli anni 2012 e 2013, delle pensioni sopra i 1.405 euro lordi.

Si tratta solamente di un recupero parziale della perequazione che non restituisce tutto a tutti.

Infatti il decreto Renzi, poi convertito in Legge, prevede solo la corresponsione, a titolo di perequazione, di una somma “una tantum” che è stata accreditata di volta in volta, a seconda dell’importo di pensione percepito e senza che questa somma costituisca parte integrante del proprio reddito. Senza dubbio, il ripristino integrale del meccanismo di perequazione delle pensioni avrebbe comportato per il bilancio dello Stato un onere pari a circa 18 miliardi di euro nel 2015 e oltre 4 miliardi di euro a decorrere dal 2016.

Per tale ragione, è doveroso rivolgersi ad un Avvocato previdenziale per intraprendere un'azione legale affinché vengano tutelati i diritti di tutti i pensionati coinvolti dalla lesione.

Ciò soprattutto alla luce del fatto che alcuni Avvocati previdenziali hanno ottenuto già ottimi risultati presso alcuni Tribunali d’Italia e Corti dei Conti che si sono espressi favorevolmente in merito a tale questione.

A Milano, il Giudice del Lavoro emesso un’ordinanza sulla base di un ricorso presentato da un Avvocato previdenziale, accogliendo le argomentazioni relative alla legittimità costituzionale dei blocchi operati e, in particolare, quella relativa alle pensioni superiori a 6 volte il minimo Inps.

La decisione ultima spetterà alla Corte Costituzionale e di fatto, a detta di alcuni Avvocati previdenziali, ci sono alcuni elementi che fanno ben sperare in un esito positivo della vicenda.

Infatti la Corte con sentenza n. 70/2015, si era già espressa favorevolmente per l'illegittimità del blocco del biennio 2012-2013 e, ad oggi, l' ordinanza di rimessione del Tribunale di Milano considera fondata la questione anche per gli anni successivi dal 2013 al 2016.
LA PROCEDURA

Analizzando nel dettaglio la procedura, l’Avvocato previdenziale spiega che si tratta di un ricorso individuale che si sviluppa attraverso una procedura di due fasi, di seguito meglio specificate:



1)    La prima fase -stragiudiziale- consiste nella raccolta documentazione e nella redazione ed invio di una diffida all’Inps (interruttiva della prescrizione) per la formale richiesta di riquantificazione e restituzione della mancata perequazione per gli anni 2012, 2013, 2014, 2015 e 2016.



2)    La seconda fase -giudiziale- consiste nella redazione e deposito di un ricorso presso il competente Tribunale del lavoro (se ex dipendente privato) o Corte dei Conti (se ex dipendente pubblico) e tutta la assistenza giudiziale della procedura di 1 grado (udienze, incombenze di cancelleria)



E’ necessario che vengano effettuati, da un consulente del lavoro qualificato, i conteggi relativi alla mancata perequazione, sia per gli anni 2012-2013 sia per i successivi anni 2014-2015-2016, comprensivi degli interessi legali nel frattempo maturati.

LA DOCUMENTAZIONE NECESSARIA


Per poter avviare la procedura di cui sopra, è necessario procurarsi i seguenti documenti utili:


1)    copia carta identità' e codice fiscale fronte e retro;
2)    certificato di stato di famiglia (anche autocertificazione);
3)    comunicazioni mensili al pensionato dell'inps relative ai mesi di:
   novembre 2011 - dicembre 2011
   gennaio 2012 – 2013 - 2014 – 2015 - 2016 - 2017
   agosto 2015 (da recuperare sul sito Inps con pin, o recandosi personalmente all’Inps competente);
4)    CUD dal 2011 al 2016

Se interessati ad avere maggiori informazioni in merito alla procedura sopra descritta, scrivete a: dirittissimo@gmail.com