lunedì 3 dicembre 2018


TFR NON PAGATO O PAGATO IN RITARDO AI PUBBLICI DIPENDENTI : COME FAR VALERE I PROPRI DIRITTI?
Il TFR è una retribuzione differita, ovvero una somma accantonata dal datore di lavoro che viene corrisposta al dipendente alla conclusione del rapporto di lavoro. Conosciuto anche come liquidazione o buonuscita, il TFR spetta sia ai dipendenti privati che agli statali.
Sussiste tuttavia una disparità di trattamento relativamente alla liquidazione del TFR (trattamento di fine rapporto) e TFS (trattamento di fine servizio) tra dipendenti pubblici e privati.
Infatti se sei un dipendente pubblico, sai che i tempi di attesa per ricevere il TFR sono molto più lunghi rispetto ai tempi per i lavoratori dipendenti privati!
E tale disparità potrebbe essere incostituzionale come presto ci dirà la Corte Costituzionale.
La problematica è stata oggetto di varie pronunce da parte della giurisprudenza, atteso che tale ritardo per i dipendenti pubblici potrebbe essere incostituzionale, ma nonostante ciò, il TFR continua ad essere pagato con colpevole ritardo.
Infatti, gli statali devono attendere diverso tempo - fino ad un massimo di 27 mesi - per ricevere il TFR.
Qual è la motivazione alla base di questa disparità di trattamento e qual è l’orientamento della giurisprudenza in merito?
TFR dipendenti pubblici: tempi per il pagamento e rateizzazione
Mentre per i dipendenti privati è il CCNL di riferimento a stabilire i tempi e le modalità per il pagamento del TFR, per gli statali, invece, sono due le norme alle quali fare riferimento: il Decreto Salva Italia 2011 e la Legge di Stabilità del 2014.
Nel dettaglio, con il primo è stato deciso che il TFR deve essere pagato:
  • entro 105 giorni: se il rapporto di lavoro è cessato per inabilità o decesso;
  • dopo 2 anni: se il rapporto di lavoro è cessato per dimissioni volontarie, licenziamento o destituzione.
La Legge di Stabilità del 2014, ha aggiunto che questo debba essere pagato:
  • dopo 1 anno: se il rapporto di lavoro è cessato per il pensionamento e raggiungimento dei requisiti di servizio o età.
Scaduti questi termini, inoltre, l’Inps ha tempo altri 3 mesi per poter procedere al pagamento della TFR; quindi, nel peggiore dei casi per ottenere la buonuscita si rischia di dover attendere fino a 27 mesi.
Il TFR, infatti, viene pagato in un’unica soluzione quando l’importo non supera i 50mila euro (prima della Legge di Stabilità il limite era di 90.000€); in caso contrario l’erogazione avviene in due (se importo compreso tra i 50mila e i 100mila euro) o tre tranche annuali.
Trattenere la liquidazione per così tanti mesi potrebbe essere incostituzionale; lo ha stabilito il Tribunale del Lavoro di Roma, il quale ha rivolto la questione alla Corte Costituzionale.
Nello specifico, una dipendente del Ministero della Giustizia si è rivolta al Tribunale del Lavoro di Roma per fare ricorso contro l’INPS, colpevole di aver trattenuto la sua liquidazione per più di 27 mesi.
Il Tribunale di Roma ha accolto il suo ricorso dichiarando che le misure introdotte per far fronte alla crisi economica del Paese non possono essere “permanenti e definitive”. Queste essendo legate alla gravità della situazione economica in un determinato periodo di crisi devono venir meno una volta che viene ristabilita la normalità.
Ecco perché oggi questa differenza di trattamento tra dipendenti pubblici e privati non ha motivo di esistere.
Inoltre, come ribadito dai giudici del Tribunale di Roma,  il TFR va retribuito tempestivamente poiché bisogna considerare che il lavoratore “specie se in età avanzata, in molti casi si propone, proprio attraverso l’integrale ed immediata percezione del trattamento, di recuperare una somma già spesa o in via di erogazione per le principali necessità di vita ovvero di fronteggiare in modo definitivo impegni finanziari già assunti”.
Ritardare il pagamento del TFR per i dipendenti pubblici potrebbe equivalere quindi ad una violazione delle norme della Costituzione. Ora l’ultima decisione spetterà alla Corte Costituzionale la quale avrà il dovere di valutare la questione di incostituzionalità mossa dal Tribunale di Roma.
E’ possibile per tutti coloro che siano DIPENDENTI PUBBLICI e si trovino in codesta situazione, rivolgersi ai nostri avvocati del Lavoro e proporre ricorso presso il Tribunale del Lavoro competente!
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ACCORDI DI BUONUSCITA

Cosa succede qualora datore di lavoro e lavoratore non abbiano più interesse a proseguire il rapporto di lavoro?
Talvolta tale interesse è comune alle parti oppure, in altri casi, è l’azienda stessa a sondare il terreno, convocando il lavoratore e presentandogli una proposta di chiusura bonaria del rapporto ( la cosiddetta “Buonuscita”), spesso formulata come un’unica alternativa ad un minacciato licenziamento in tronco.

 In questa fase è bene che il lavoratore non si sieda da solo al tavolo delle trattative con l’azienda e che si faccia assistere da un Avvocato del Lavoro, anche in considerazione che la controparte opera in tali frangenti quasi esclusivamente con l’ausilio di personale competente in materia  (avvocato del lavoro aziendale / direttore del personale / consulente del lavoro, che conducono direttamente la trattativa con il lavoratore o operano dietro le quinte, suggerendo quale strategia adottare all’azienda).
Per evitare dunque che ci sia questa sproporzionalità di tutela, è bene che il lavoratore si faccia assistere nelle trattative dagli Avvocati del Lavoro di Dirittissimo.

Questa fase è di fondamentale importanza e pertanto se portata avanti da avvocati esperti in diritto del lavoro può comportare ottimi vantaggi per il lavoratore, ottenendo ottimi risultati, non solo sotto il profilo delle trattative economiche,  ma anche sotto l’aspetto puramente legale nella redazione dell’importante testo di accordo tra le parti (cosiddetto “Tombale”).

Perché affidarsi allo staff di Dirittissimo?
Perché l’assistenza di un team di avvocati del lavoro esperti nel licenziamento consente di possedere una valutazione altamente probabilistica di come potrebbe concludersi l’eventuale processo e dunque di maturare una consapevole aspettativa nelle trattative pregiudiziali volte all’ottenimento della cosiddetta “Buonuscita”.

I nostri legali, esperti in diritto del lavoro approfondiranno il tuo caso, analizzando buste paga, bonus, premi, benefit ed ogni altro elemento economico da valutare nella relativa trattativa.
Tale valutazione, operata da Avvocati del licenziamento, consentirà di affrontare le trattative con la controparte con maggior sicurezza e decisione, elementi imprescindibili per uscirne vincenti.


Quindi il consiglio è di rivolgersi subito ad un nostro Avvocato del Lavoro e del Licenziamento! Se ci conferisci l’incarico, il primo appuntamento non avrà alcun costo!

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LICENZIAMENTO PER SOPRAVVENUTA INIDONEITA’ ALLA MANSIONE

L’Avvocato del Lavoro con questo articolo commenta una decisione della Suprema Corte (Cass. Sez. Lav. 16 maggio 2016, n. 10018)  relativa ad un’impugnazione di un licenziamento per sopravvenuta inidoneità alla mansione, ricorso depositato da un collega Avvocato del Lavoro di Torino.
Si tratta di un lavoratore, licenziato a causa di una sopravvenuta infermità relativa parziale permanente che lo ha reso inidoneo a svolgere le mansioni precedente operate in azienda.

Erroneamente, a parere della Corte di Cassazione, l’azienda datrice di lavoro aveva giustificato il licenziamento, motivando tale scelta sul presupposto che fosse impossibile assegnare al lavoratore diverse ma equivalenti mansioni rispetto a quelle prestate sino a quel momento e che il lavoratore non avesse preventivamente manifestato espressamente la propria volontà ad un eventuale demansionamento.

Il ricorso per Cassazione presentato dall’Avvocato del Lavoro di Torino veniva pertanto accolto dalla Corte, la quale ha affermato come sia onere del datore di lavoro dimostrare non solo l’inidoneità fisica del lavoratore a svolgere l’attività lavorativa attuale e/o equivalente, ai sensi dell’Art. 2113 c.c., ma anche, in difetto, a mansioni diverse ovvero eventualmente inferiori, purché tale diversa attività sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore.

Pertanto, in tali casi, è opportuno che il lavoratore si rivolga ad un Avvocato del Lavoro per verificare preventivamente se la società datrice di lavoro abbia operato correttamente tale valutazione, estesa anche a mansioni inferiori, ed in caso contrario, procedere con l’impugnazione del licenziamento, presso il competente Tribunale.
Vuoi saperne di più sull’argomento e valutare se che anche tu puoi procedere in giudizio con l’impugnazione del licenziamento sopravvenuta inidoneità alla mansione?
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