lunedì 11 febbraio 2019

ATTENZIONE ALLE COMUNICAZIONI DELL’INPS RELATIVE ALLE SOMME CORRISPOSTE IN MANIERA ERRONEA.


Non di rado, molti pensionati ricevono comunicazioni dell’INPS circa somme corrisposte in maniera erronea sulla pensione.

Si tratta di un fenomeno molto frequente nel rapporto tra Inps e pensionati, quello dell’erogazione di somme di pensione maggiori di quelle spettanti e nella maggior parte dei casi il cittadino non sa nemmeno il perché gli abbiamo corrisposto una cifra maggiore di quella che gli spettava e si trova così ad essere un debitore senza colpe.

E’ quel che è successo ad una signora nostra cliente che, da un giorno all’altro, si è vista arrivare una comunicazione in cui l’Inps le chiedeva la restituzione di ben Euro 14.000,00 con la motivazione di un errore nel calcolo della pensione comunicando che da un certo giorno, avrebbe iniziato a trattenere parte della pensione residua come rata del debito.

Che fare in tali casi?

E’ bene sapere che la Cassazione (nel 2017) si è espressa per far fronte a tali situazioni purtroppo non infrequenti, affermando che L'ente erogatore, l’Inps, può rettificare in ogni momento le pensioni per via di errori di qualsiasi natura, ma non può recuperare le somme già corrisposte, a meno che l'indebita prestazione sia dipesa dal dolo dell'interessato. 

La Cassazione fa riferimento ad un principio generale di irripetibilità delle pensioni secondo cui "le pensioni possono essere in ogni momento rettificate dagli enti erogatori in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione o di erogazione della pensione, ma non si fa luogo al recupero delle somme corrisposte, salvo che l'indebita prestazione sia dovuta a dolo dell'interessato”, ipotesi, peraltro, assai improbabile o difficile da dimostrare.

Si tratta di una pronuncia che cerca di porre rimedio ad un fenomeno molto frequente nel rapporto tra Inps e pensionati.

…..(la Cassazione sezione lavoro è n. 482/2017)

E' pertanto necessario in tali casi un intervento dell'avvocato previdenziale attraverso una lettera formale indirizzata all'Inps che faccia preciso riferimento a tale giurisprudenza e che sia interruttiva della prescrizione.

Sconsigliamo vivamente di scrivere lettere per conto proprio in quanto non avendo le competenze legali, rischierebbero di non avere effetto come interruzione della prescrizione. 

Se anche Tu hai ricevuto una richiesta di restituzione di soldi puoi contattare i nostri avvocati previdenziali per tutelare la Tua posizione.

www.dirittissimo.it - sezione previdenziale

Scrivi a: inforicorsipensioni@gmail.com 

Avv. Luca Canevari 

giovedì 7 febbraio 2019


RIFORMA DEL CONDOMINIO:

- RIPASSIAMO LE NOVITA’ -

La riforma del condominio ha introdotto importanti novità che riguardano specialmente la figura dell’amministratore, oltre che i criteri di suddivisione della spesa e delle rappresentatività in assemblea.
Tali aspetti, sono stati determinati non più solo in base al numero dei condomini ma anche sulla divisione in millesimi degli appartamenti ai quali viene attribuito uno specifico valore.

REQUISITI PER LA NOMINA DELL’AMMINISTRATORE E SUOI OBBLIGHI

L’amministratore deve possedere dei requisiti ben precisi per poter essere eletto tale:
-pieno godimento dei diritti civili;
-non avere condanne per i delitti contro la p.a., l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio e per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commini la pena della reclusione non inferiore a 2 anni.
-non deve essere sottoposto a misure di prevenzione diventate definitive
-non deve esser interdetto o inabilitato
-non deve avere protesti cambiari
-deve aver frequentato un corso di formazione iniziale e svolgere attività di formazione periodica

Possono svolgere il ruolo di amministratore anche le società semplici le s.n.c., le s.a.s le s.p.a e le s.r.l.
Importante è l’obbligo per l’amministratore di presentare la polizza di responsabilità civile – pena l’inammissibilità della sua nomina ;
-obbligo di far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o erogate per conto del condominio a qualsiasi titolo, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio consentendo ai condomini di poter consultare facilmente la rendicontazione.
Per i condomini che abbiano più di 9 condomini, l’assemblea può anche decidere le modalità e limiti con i quali l’amministratore debba prelevare somme dal conto condominiale, indicando anche un condomino che abbia potere di firma congiunta con l’amministratore.
Se lo richiede l’assemblea l’amministratore è obbligato ad avere un sito internet del condominio accessibile a tutti i condomini.

SPESE CONDOMINIALI E MOROSITA’

La riscossione delle spese condominiali può essere fatta dall'amministratore senza che sia necessaria l’autorizzazione dell’assemblea.
Inoltre, qualora uno dei condomini non paghi per oltre 6 mesi, l’amministratore può sospendere tale condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni
L’amministratore ha l’obbligo di attivare una procedura esecutiva nei confronti del condomino moroso.

PARTI COMUNI:

Ci sono grandi novità in merito anche alle parti comuni di un condominio
Con la maggioranza assembleare, i condomini possono decidere di effettuare delle innovazioni che nel rispetto della normativa di settore, riguardano:
-opere ed interventi per migliorare la sicurezza e salute degli edifici ed impianti;
-opere ed interventi per abbattere le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati al servizio delle unità immobiliari o sull'edificio.

IMPIANTI DI RISCALDAMENTO E TV

La riforma ha permesso la realizzazione di impianti autonomi (non centralizzati) per la ricezione radiotelevisiva sempre che non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio, delle parti comuni o dei singoli appartamenti.
E’ consentito altresì realizzare impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili solo ad uso di singoli appartamenti del condominio sul lastrico solare.

Queste e molte altre novità, per saperne di più ed esporci la Tua problematica scegli l'avvocato condominiale di dirittissimo - scrivi a: dirittissimo@gmail.com 

Avv. Luca Avaldi 

Avv. Luca Canevari 

www.dirittissimo.it  - sezione civile 


martedì 5 febbraio 2019


Esiste una tutela per il cittadino contro il silenzio della Pubblica Amministrazione, attraverso la procedura per richiedere il risarcimento del danno causato appunto dai ritardi della PA o da suoi provvedimenti illegittimi ecc.
È stato anche introdotto il c.d. "silenzio assenso", dando la possibilità al cittadino di ottenere un parere favorevole dalla PA nel caso in cui questa non si esprima nei termini.
Esistono anche altri tipi di "silenzio", come ad esempio il "silenzio rigetto" e il "silenzio inadempimento".
Il risarcimento del danno da ritardo
La normativa (n. 241/1990) prevede che le pubbliche amministrazioni sono tenute al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. Il danno da ritardo è risarcibile.
L’azione risarcitoria deve essere esercitata dinanzi al giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni.
Bisogna però distinguere tre ipotesi che possono verificarsi a seguito dell’istanza del privato, finalizzata ad ottenere un provvedimento a sé favorevole.
1) Ritardo di un provvedimento favorevole
La prima ipotesi è che la pubblica amministrazione, seppur non emettendo l’atto nei termini di conclusione del procedimento, accolga l’istanza del privato con un provvedimento tardivo favorevole. In questo caso, non essendoci interesse del privato ad impugnare l’atto, è possibile ipotizzare un danno solo per il ritardo rispetto al termine conclusivo del procedimento, essendo l’emissione del provvedimento favorevole al privato già di per sé espressiva della fondatezza della iniziale istanza del privato.
2) Ritardo di un provvedimento sfavorevole
La seconda ipotesi è che l’ente pubblico emetta un provvedimento tardivo sfavorevole; un provvedimento, cioè, negativo rispetto all’istanza del privato. In questo caso, essendo negato il “bene della vita” oggetto dell’istanza del privato, non può ipotizzarsi un danno da ritardo. Sarà onere del privato impugnare l’atto sfavorevole e solo ad esito positivo del giudizio di annullamento, cioè quando il giudice avrà riconosciuto la fondatezza dell’originaria istanza del privato, potrà essere richiesto il risarcimento del danno da ritardo.
3) Silenzio dell’amministrazione
La terza ipotesi è che la pubblica amministrazione non emetta alcun provvedimento. In questo caso l’interessato dovrà ottenere dal giudice amministrativo il riconoscimento dell’illegittimità del silenzio dell’ente, cui dovrà fare seguito un provvedimento espresso dell’ente di carattere favorevole o meno. A questo punto ci si ritroverà in una delle situazioni descritte nei due punti precedenti.
Il privato dovrà provare:
·         l’esistenza del danno ed il suo ammontare;
·         l’assenza di ragioni che possano in qualche modo giustificare la PA (ad esempio l’esistenza di un normativa particolarmente complessa che possa dar luogo ad errore scusabile);
·         l’imputabilità della responsabilità a titolo di colpa grave o dolo dell’ente.

Il risarcimento del danno da provvedimento illegittimo
Quando il giudice accerta l’illegittimità di un provvedimento che abbia sottratto al privato un valore appartenente al suo patrimonio, bisogna consentire all’interessato di recuperare il diritto che non ha più su quel bene e il risarcimento del danno subito a causa della mancata disponibilità della cosa.
Allo stesso modo, il privato titolare di un interesse a conseguire un bene della vita cui poteva legittimamente aspirare, leso dal provvedimento negativo dell’Amministrazione, tramite il processo amministrativo può perseguire due scopi: acquisire l’effetto vantaggioso illegittimamente negato ed essere risarcito degli ulteriori danni che siano derivati dal provvedimento negativo.
La legge assicura la realizzazione del diritto al risarcimento prevedendo, inoltre, che il risarcimento possa avvenire nelle due forme alternative della reintegrazione in forma specifica (es.: la restituzione del bene) e dell’attribuzione dell’equivalente monetario (somma di denaro).
In generale è competente il giudice amministrativo sia quando il privato invochi la tutela di annullamento sia quando faccia valere la tutela risarcitoria. 
Se avete subito un eccessivo ritardo o non avete mai ricevuto un riscontro da parte di un ente della pubblica amministrazione come per esempio l'Inps  - potete avvalervi della procedura come descritta sopra -  attraverso la difesa di un Legale- per ottenere il risarcimento del danno da ritardo.
Avv. Luca Canevari - Studio legale Dirittissimo

lunedì 4 febbraio 2019


RISARCIMENTO DEL DANNO DA STRESS LAVORO CORRELATO

Il danno da stress lavoro correlato, secondo la definizione dell’art. 3 dell’Accordo Europeo dell’8 Ottobre 2004 (recepito dall’Accordo Interconfederale del 9 Giugno 2008), è una situazione di reiterata tensione che può determinare un peggioramento dello stato di salute, anche con ricadute patologiche gravi.

Tale situazione, come specificato anche dal citato Accordo Europeo, può riguardare ogni lavoratore, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda, dal settore di attività o dalla tipologia di contratto.

Come ribadito anche dalla Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la Sentenza n. 5590 del 22 Marzo 2016, il risarcimento del danno da stress lavoro correlato “si inscrive nella categoria unitaria del danno non patrimoniale causato da inadempimento contrattuale e, in linea generale, la sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto sofferto dal titolare dell’interesse leso, sul quale grava l’onere della relativa allegazione e prova, anche attraverso presunzioni semplici.

Più precisamente, devono sussistere 3 presupposti affinchè il lavoratore possa chiedere il risarcimento del danno da stress lavoro correlato:

·      la condotta censurabile del datore di lavoro;
·      un danno medicalmente accertabile;
·      il nesso di causalità tra la condotta censurabile e il danno.

Quanto alla condotta del datore di lavoro, il riferimento è all’art. 2087 Cod. Civ. che stabilisce l’obbligo del datore di lavoro di “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
A questo proposito, la Corte di Cassazione chiarisce che “l’obbligo che scaturisce dall’Art. 2087 non può ritenersi limitato al rispetto della legislazione tipica della prevenzione, riguardando altresì il divieto, per il datore di lavoro, di porre in essere, nell’ambito aziendale, comportamenti che siano lesivi del diritto all’integrità psicofisica del lavoratore” (Cass. Civ., Sez. Lav., 02 Maggio 2000 n. 5491).

Da sottolineare che Cassazione ritiene configurabile un danno da stress lavoro correlato anche qualora il datore ometta di adeguare l’organico aziendale  “il mancato adeguamento dell’organico aziendale (in quanto e se determinante un eccessivo carico di lavoro), nonché il mancato impedimento di un superlavoro eccedente – secondo le regole di comune esperienza – la normale tollerabilità, con conseguenti danni alla salute del lavoratore, costituisce violazione degli Artt. 41, comma 2, Cost. e 2087 Cod.Civ., e ciò anche quando l’eccessivo impegno sia frutto di una scelta del lavoratore (estrinsecantesi nell’accettazione di straordinario continuativo – ancorché contenuto nel cosiddetto monte ore massimo contrattuale – o nella rinuncia a periodi di ferie), atteso che il comportamento del lavoratore non esime il datore di lavoro dall’adottare tutte le misure idonee alla tutela dell’integrità fisico-psichica dei dipendenti, comprese quelle intese ad evitare l’eccessività di impegno da parte di soggetti in condizioni di subordinazione socio-economica…”

La responsabilità del modello organizzativo e della distribuzione del lavoro è comunque sempre in capo all'azienda (quindi al datore) che non può sottrarsi agli addebiti che possono derivare dagli effetti lesivi di una inadeguata scansione dei tempi di attività e ha dichiarato il nesso tra l’infarto e l’impegno lavorativo oltre i limiti della tollerabilità.

Per quanto riguarda i danni che un medico può accertare come correlati ad una condizione di stress, essi possono essere svariati: malattie a base organica, come infarti o patologie dell’apparato immunitario o gastrointestinale, oppure malattie neurologiche e psichiche.

Con una nota Sentenza del 2012, la Suprema Corte di Cassazione  (Cass. Civ., Sez. Lav.,  24 Ottobre 2012 n. 18211) ha riconosciuto una somma risarcitoria, pari a € 25.000,00, ad un portinaio che, a causa dei lunghi turni di lavoro (dalle 21.00 alle 9.00), riportava una sindrome nevrotico ansiosa da stress lavorativo.

Secondo una delle ultime pronunce della Corte di Cassazione civile, sez. lavoro con  la sentenza n. 1185 del 18 gennaio 2017,  lo stress da lavoro, nel momento in cui pregiudica l’abituale e serena esistenza del dipendente, rientra nella categoria del danno non patrimoniale.
Il danno non patrimoniale riguarda gli effetti negativi (che possono essere di natura  esistenziale, biologica  o morale) subiti dal cittadino di conseguenza ad un fatto illecito, ma danno non patrimoniale, a differenza dei danni patrimoniali, non da' automaticamente diritto al risarcimento.

Senza dubbio se avete una situazione simile a quella descritta sopra potete dunque far valere il vostro diritto ad ottenere il risarcimento del danno come sopra specificato.

Per maggiori informazioni: studiolegale@dirittissimo.com 

www.dirittissimo.com  - sezione lavoro