lunedì 19 novembre 2018


RISARCIMENTO DEL DANNO DA STRESS LAVORO CORRELATO

Il danno da stress lavoro correlato, secondo la definizione dell’art. 3 dell’Accordo Europeo dell’8 Ottobre 2004 (recepito dall’Accordo Interconfederale del 9 Giugno 2008), è una situazione di reiterata tensione che può determinare un peggioramento dello stato di salute, anche con ricadute patologiche gravi.

Tale situazione, come specificato anche dal citato Accordo Europeo, può riguardare ogni lavoratore, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda, dal settore di attività o dalla tipologia di contratto.

Come ribadito anche dalla Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la Sentenza n. 5590 del 22 Marzo 2016, il risarcimento del danno da stress lavoro correlato “si inscrive nella categoria unitaria del danno non patrimoniale causato da inadempimento contrattuale e, in linea generale, la sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto sofferto dal titolare dell’interesse leso, sul quale grava l’onere della relativa allegazione e prova, anche attraverso presunzioni semplici.

Più precisamente, devono sussistere 3 presupposti affinchè il lavoratore possa chiedere il risarcimento del danno da stress lavoro correlato:

·      la condotta censurabile del datore di lavoro;
·      un danno medicalmente accertabile;
·      il nesso di causalità tra la condotta censurabile e il danno.

Quanto alla condotta del datore di lavoro, il riferimento è all’art. 2087 Cod. Civ. che stabilisce l’obbligo del datore di lavoro di “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
A questo proposito, la Corte di Cassazione chiarisce che “l’obbligo che scaturisce dall’Art. 2087 non può ritenersi limitato al rispetto della legislazione tipica della prevenzione, riguardando altresì il divieto, per il datore di lavoro, di porre in essere, nell’ambito aziendale, comportamenti che siano lesivi del diritto all’integrità psicofisica del lavoratore” (Cass. Civ., Sez. Lav., 02 Maggio 2000 n. 5491).

Da sottolineare che Cassazione ritiene configurabile un danno da stress lavoro correlato anche qualora il datore ometta di adeguare l’organico aziendale  “il mancato adeguamento dell’organico aziendale (in quanto e se determinante un eccessivo carico di lavoro), nonché il mancato impedimento di un superlavoro eccedente – secondo le regole di comune esperienza – la normale tollerabilità, con conseguenti danni alla salute del lavoratore, costituisce violazione degli Artt. 41, comma 2, Cost. e 2087 Cod.Civ., e ciò anche quando l’eccessivo impegno sia frutto di una scelta del lavoratore (estrinsecantesi nell’accettazione di straordinario continuativo – ancorché contenuto nel cosiddetto monte ore massimo contrattuale – o nella rinuncia a periodi di ferie), atteso che il comportamento del lavoratore non esime il datore di lavoro dall’adottare tutte le misure idonee alla tutela dell’integrità fisico-psichica dei dipendenti, comprese quelle intese ad evitare l’eccessività di impegno da parte di soggetti in condizioni di subordinazione socio-economica…”

La responsabilità del modello organizzativo e della distribuzione del lavoro è comunque sempre in capo all'azienda (quindi al datore) che non può sottrarsi agli addebiti che possono derivare dagli effetti lesivi di una inadeguata scansione dei tempi di attività e ha dichiarato il nesso tra l’infarto e l’impegno lavorativo oltre i limiti della tollerabilità.

Per quanto riguarda i danni che un medico può accertare come correlati ad una condizione di stress, essi possono essere svariati: malattie a base organica, come infarti o patologie dell’apparato immunitario o gastrointestinale, oppure malattie neurologiche e psichiche.

Con una nota Sentenza del 2012, la Suprema Corte di Cassazione  (Cass. Civ., Sez. Lav.,  24 Ottobre 2012 n. 18211) ha riconosciuto una somma risarcitoria, pari a € 25.000,00, ad un portinaio che, a causa dei lunghi turni di lavoro (dalle 21.00 alle 9.00), riportava una sindrome nevrotico ansiosa da stress lavorativo.

Secondo una delle ultime pronunce della Corte di Cassazione civile, sez. lavoro con  la sentenza n. 1185 del 18 gennaio 2017,  lo stress da lavoro, nel momento in cui pregiudica l’abituale e serena esistenza del dipendente, rientra nella categoria del danno non patrimoniale. Il danno non patrimoniale riguarda gli effetti negativi (che possono essere di natura  esistenziale, biologica  o morale) subiti dal cittadino di conseguenza ad un fatto illecito. Il danno non patrimoniale, a differenza dei danni patrimoniali, non da' automaticamente diritto al risarcimento.

Ci sono poi svariati altre casistiche in cui è possibile richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale.

Se pensi che il Tuo caso rientri in una delle fattispecie come sopra descritte, puoi contattare un nostro avvocato del lavoro tramite email: studiolegale@dirittissimo.com  per prendere un appuntamento in una delle nostre sedi di Milano o Torino.


visita: www.dirittissimo.com  sezione lavoro

giovedì 15 novembre 2018


MUTUI E SPREAD: BISOGNA FARE CHIAREZZA

In questi ultimi mesi, nei quali lo spread tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi rimane sempre molto alto (oltre i 300 punti base), si legge spesso sui quotidiani nazionali che ciò non avrebbe alcuna influenza sul costo dei prestiti accesi da persone e imprese presso le banche.
Sul punto occorre fare chiarezza.

I prestiti vanno, innanzitutto, distinti tra:
-          mutui che sono già stati contratti con le banche prima dell’inizio del recente rialzo dello spread
-          mutui ad oggi non ancora contratti, e che saranno stipulati in futuro.

I prestiti con le banche si distinguono, inoltre, in mutui a tasso fisso, e mutui a tasso variabile.
I mutui a tasso fisso non variano, teoricamente (occorre però sempre controllarne la corretta applicazione pratica), con riferimento al tasso di interesse praticato.

I mutui a tasso variabile dipendono, nell’applicazione dei tassi di interesse, dall’indice Euribor, rilevato dalla Banca Centrale Europea. L’Euribor indica il tasso di interesse con il quale le banche si prestano, tra di loro, il denaro. Tale indice varia anche in dipendenza di decisioni dirette della BCE.
In considerazione del fatto che l’aumento dello spread tra BTP e Bund causa una diminuzione del valore dei Titoli di Stato italiani posseduti dalle Banche, è possibile che queste, al fine di recuperare liquidità, aumentino i tassi di interesse del denaro che si prestano tra di loro. Conseguentemente, potrebbe essere possibile che, nel futuro prossimo, l’indice Euribor aumenti, con conseguente aumento dei costi dei mutui a tasso variabile. 

Chi, cioè, ha contratto con una banca, anche prima che lo spread tra BTP e BUND subisse gli attuali rialzi, un mutuo a tasso variabile, potrebbe vedere aumentare i tassi di interesse a causa, indirettamente, del rialzo dello spread. Anche per i mutui già contratti nel passato, quindi, si presentano problemi causati dallo spread.
Per i mutui stipulati ora, nonché futuri, i problemi inerenti a tassi di interesse elevati sono invece assai probabili.

Alcune banche, per i nuovi mutui, hanno già aumentato i costi per i clienti.

Occorre poi fare molta attenzione, al di là dei tassi di interesse scritti nei contratti di mutuo, a quelli effettivamente applicati dalle banche.
Infatti, ogni discorso concernente lo “stare tranquilli” se si guarda solo a quanto c’è effettivamente scritto nei contratti bancari cessa di avere rilevanza se, nell’addebito sul conto corrente, sono applicati, effettivamente tassi di interesse più elevati di quelli previsti nel contratto, o rispetto a quelli legali.

Come spesso purtroppo è capitato nel passato, alcuni istituti bancari, nei momenti nei quali si trovano in difficoltà economica (come in questo momento, dove gli istituti, detentori di ingenti quantità di Titoli di Stato italiani, ne vedono diminuire il valore) scaricano de facto costi più elevati, sotto forma di interessi e spese non dovute, sui correntisti (e soprattutto sui correntisti, più che sui tassi di prestito del denaro tra le banche medesime). I quali, magari, non se ne accorgono, e pagano, inconsapevolmente, più del dovuto, attraverso addebiti illegittimi sul conto corrente.

Per questo è importante, in modo particolare in questo momento storico di tensioni finanziarie, rivolgersi ad un avvocato esperto di diritto bancario, al fine di fare controllare i propri contratti bancari, per verificare soprattutto che siano applicati dei tassi di interesse corretti, entro il limite della soglia dell’usura.


Se desideri richiedere un appuntamento con l'avvocato esperto di diritto bancario scrivi a: dirittissimo@gmail.com


venerdì 9 novembre 2018



LAVORI USURANTI: Possibilità di pensione in anticipo. Con quali requisiti?

Se svolgi delle mansioni particolarmente pesanti, oppure ti assegnano lavori di notte potresti rientrare nella categorie di coloro che svolgono lavori usuranti.

L’elenco di tali lavori è previsto in un decreto del 2011 e comprende:
-chi lavora in galleria, cava o miniera;
-chi lavora in cassoni ad aria compressa;
-chi lavora ad alte temperature;
-chi lavora il vetro cavo;
-chi lavora per asportare l’amianto;
-lavori svolti prevalentemente e continuativamente in spazi ristretti (attività di manutenzione, riparazione navale)
-conducenti di veicoli adibiti al servizio pubblico di trasporto collettivo, con capienza superiore a 9 posti;
-chi lavora a catena o in serie.

Per aver accesso alla pensione agevolata, l’attività usurante deve esser stata svolta:
-per almeno 7 anni, negli ultimi 10 anni di vita lavorativa;
-per almeno metà della vita lavorativa.

Il beneficio della pensione di anzianità riconosciuto a tali categorie, è esteso anche a chi svolge lavori in orari notturni.

Si tratta di una particolare tipologia di pensione di anzianità, raggiungibile con una determinata quota minima (ovvero la somma del requisito di età e del requisito di contribuzione).
La quota è pari a 97,6 con almeno:
1)61 anni e 7 mesi di età;
2)35 anni di contributi.

A seconda del tipo di contribuzione, possono essere alzati di 1 anno i requisiti (es. per chi ha una contribuzione mista da lavoro dipendente ed autonomo).

COME E QUANDO INVIARE LA DOMANDA DI PENSIONE PER LAVORO USURANTE:

Prima della domanda di pensione, occorre inviare una domanda all’Inps per certificare il possesso dei requisiti.

La domanda va inviata entro il 1 Maggio dell’anno precedente a quello in cui si maturano i requisiti agevolati.

L’Inps certifica il possesso dei requisiti e da’ la possibilità poi di chiedere la pensione vera e propria.
Per gli adempimenti necessari alla presentazione della domanda, contatta un avvocato del lavoro e previdenziale di Dirittissimo ai nostri contatti:
dirittissimo@gmail.com – 328.2408154



venerdì 2 novembre 2018


TERMINI D’IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO

Quali sono i termini di impugnazione del licenziamento ? E quali le conseguenze se il lavoratore non rispetta la decadenza e la prescrizione ?
Cari lettori, l’Avvocato del Lavoro in questo breve articolo intende affrontare un aspetto molto delicato dell’impugnazione del licenziamento.

Accade di frequente che alcuni lavoratori che volevano impugnare il proprio licenziamento,  purtroppo erano ormai preclusi da tale azione, in quanto erano già scaduti i termini di prescrizione e decadenza per esercitare tale diritto.
Quali sono questi due diversi termini e come possono essere esercitati dal lavoratore licenziato?

La Legge prevede due termini relativi all'impugnazione del licenziamento:
-un primo più breve, di 60 giorni, per impugnare il licenziamento tramite una comunicazione scritta inviata al datore di lavoro (Art. 6 L. 604/66).
Il termine decorre dal giorno in cui il lavoratore ha ricevuto la lettera di licenziamento.
Proprio in questo primo atto di impugnazione, è consigliabile che il lavoratore si faccia assistere da un buon Avvocato del Lavoro, poiché anche un semplice errore in tale fase può precludere l’intera azione di impugnazione del licenziamento.

La lettera di impugnazione deve contenere i riferimenti del licenziamento che si vuole impugnare, deve essere sottoscritta personalmente dal lavoratore (oltre che dall'eventuale Avvocato del Lavoro che lo assiste), il quale deve porre la propria formale messa a disposizione per la ripresa dell’attività e si intende tempestivamente effettuata qualora la spedizione della stessa avvenga entro e non oltre il sessantesimo giorno (vale il giorno della spedizione, anche se ricevuta oltre tale termine dal datore).

Anziché redigere la lettera di impugnazione, si può procedere al deposito del ricorso giudiziale, ma seguendo questa strada verrebbe meno la prima fase di eventuale trattativa bonaria tra lo stesso Avvocato del Lavoro e la controparte (o suo legale) che molto frequentemente può concludersi per il lavoratore con un ottimo risultato, molto simile a quello dell’eventuale e successivo giudizio.
-Il secondo termine, invece, di 180 giorni, decorre dalla data di spedizione della lettera di impugnazione del licenziamento; entro tale termine, l’Avvocato del Lavoro che assiste il lavoratore licenziato, potrà depositare il ricorso giudiziale, a pena di prescrizione.

Recente Cassazione afferma a riguardo che qualora il lavoratore non rispetti i termini di decadenza (60 giorni) e prescrizione (180 giorni) per l’impugnazione del licenziamento, gli sarà precluso il diritto di far accertare giudizialmente l’eventuale illegittimità dello stesso e di conseguire il relativo risarcimento del danno nella misura prevista dalle due alternative discipline applicabili al caso de quo (Art. 8, L. 604/66 oppure Art. 18, L. 300/70).

In questi casi, è consigliabile farsi assistere da un Avvocato del Lavoro, così da sapere in quale modo e entro quali termini far valere il proprio diritto all'impugnazione del licenziamento.



Per saperne di più, puoi rivolgerTi ad un avvocato del lavoro dello studio legale Dirittissimo ed inviare una email a: dirittissimo@gmail.com
Visita il sito www.dirittissimo.it e fissa un appuntamento presso una delle nostre sedi di Milano o Torino!