lunedì 28 maggio 2018


RECUPERO  DEI CREDITI DI LAVORO: COME FARE? QUALE PRESCRIZIONE?


Un lavoratore che vanti un credito verso il suo datore di lavoro può attuare una serie di iniziative per il recupero dello stesso.

Fino a quando il lavoratore può agire in giudizio per vedersi riconoscere somme a titolo retributivo legate allo svolgimento della propria prestazione lavorativa??

Che cosa è cambiato dal 2012 per i lavoratori che vogliano recuperare crediti retributivi legati al rapporto di lavoro (stipendi non pagati, differenze retributive di varia natura, TFR, etc …) ?

La maggior parte dei crediti retributivi legali al rapporto di lavoro hanno una prescrizione quinquennale (ex Art. 2948 c.c., commi 4 e 5).

Se da un lato nulla è mutato circa la decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi per i lavoratori delle cd. “piccole imprese” (fino a 15 dipendenti), diversa è la situazione dei lavoratori dipendenti di imprese con più di 15 dipendenti, per i quali è applicabile indistintamente la Riforma Fornero del 2012 che, come noto, ha ridotto i casi di licenziamento illegittimo per i quali è prevista la reintegrazione, ora sostituita per la maggior parte dei licenziamenti con una tutela meramente risarcitoria (cd. “monetizzazione del licenziamento illegittimo”).

Pertanto la giurisprudenza più recente è stata sollecitata dagli Avvocati del Lavoro a chiedersi se il “timore da recesso” ricorresse ora anche per i dipendenti delle grandi realtà, oggi non più assicurati dal reintegro in servizio in caso di licenziamento illegittimo.

Ovviamente tale riflessione deve essere estesa, a maggior ragione, anche ai lavoratori post Jobs Act a cui si applica il contratto a tutele crescenti, per i quali la tutela “forte” reale non troverà quasi più applicazione, sostituita da una meramente risarcitoria, al pari dei lavoratori delle piccole realtà.

Pertanto pare lecita conseguenza che anche a tali lavoratori debba trovare applicazione una prescrizione non più in costanza di rapporto, ma dal momento della cessazione dello stesso.

In tal senso, a seguito di ricorsi presentati da Avvocati del Lavoro di Milano e Torino, si sono pronunciati rispettivamente alcuni Giudici affermando che fino al luglio 2012 i crediti retributivi siano caratterizzati da prescrizione in costanza di rapporto e successivamente il termine risulta sospeso.
Il procedimento attraverso il quale si possono recuperare crediti da lavoro è abbastanza veloce: decreto ingiuntivo ed eventuale esecuzione.

Per la velocità della procedura sono però necessari i cedolini paga. In caso contrario c’è rischio che si allunghino i tempi.

Prima di agire è buona regola verificare la solvibilità del debitore perché, se il debitore è insolvente, si corre il rischio di recuperare solo quanto può rimborsare il Fondo di Garanzia presso l'INPS, cioè il TFR.

Il mancato pagamento della retribuzione legittima le dimissioni per giusta causa da parte del lavoratore dipendente, esonerandolo dall’obbligo di dare, al datore di lavoro, il preavviso e facendo maturare in suo favore il relativo indennizzo.

In piu', con la presentazione delle dimissioni, al dipendente spetta l’assegno di disoccupazione, nonostante non abbia subito formalmente il licenziamento.

Rimanendo comunque imprescindibili le misure assistenziali erogate dall’Inps nel caso in cui il datore, per cattiva volonta' o per crisi economica, non versi al dipendente le buste paga o il TFR la prima, e piu' economica, mossa da compiere consiste nel metterlo in mora.

Per far cio', si dovra' inviare una diffida con raccomandata a/r, sollecitandolo a pagare quanto dovuto.

In questa attivita' e' sempre importante effettuare prima i conteggi degli importi dovuti ed eccepire le giuste eccezioni al datore moroso.

Qualora la diffida non dovesse sortire effetto, si può procedere giudizialmente per ottenere un titolo esecutivo nei confronti dell’imprenditore inadempiente. Occorre verificare che l’azienda non sia fallita perché in tal caso è necessario depositare un’istanza di fallimento.

Per legge vengono tutelati in via prioritaria i crediti dei dipendenti, nonché il versamento degli oneri previdenziali ed erariali in quanto, tali crediti, godono di un grado di prelazione prioritario rispetto a tutti gli altri debiti.

Qualora, pero', l’azione legale tentata non vada a buon fine in presenza di una reale situazione di dissesto finanziario del datore, al dipendente non resta altra soluzione che rivolgersi all’Inps, chiedendo l’intervento del Fondo di Garanzia per ottenere il pagamento del Tfr e delle ultime tre mensilita'.  

Per maggiori infomazioni puoi contattare: iinforicorsitfr@gmail.com   

I nostri avvocati del lavoro sono pronti a seguire il Tuo caso.


Davide Gilberto Polloni –Legal 
dirittissimo.it

venerdì 11 maggio 2018


EFFETTI DELLE DIMISSIONI  PER GIUSTA CAUSA PER IL LAVORATORE



Il lavoratore che presenta le dimissioni per giusta causa ha diritto all’indennità sostitutiva del preavviso (Cass. 7 novembre 2001 n. 13782) ed altresì a richiedere l’indennità di disoccupazione (Naspi), ove ne sussistano i presupposti.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, è escluso invece che al lavoratore spetti uno specifico risarcimento del danno a compenso del pregiudizio determinato da tale chiusura del rapporto di lavoro, (Cass. 7 novembre 2001 n. 13782). Si segnala tuttavia un’isolata sentenza di merito (Trib. Roma 17 giugno 2005) che ha riconosciuto al lavoratore dimissionario il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, in misura pari all’importo dell’ultima retribuzione di fatto spettante, moltiplicata per il numero di mesi verosimilmente necessari allo stesso per reperire altra occupazione.

Inoltre, analizzando l’articolo 2087 c.c., si intuisce come il legislatore prevede che l’imprenditore, in virtù della sua posizione di garante dell’incolumità fisica del lavoratore, deve adottare tutte le misure idonee a salvaguardare chi presta la propria attività lavorativa alle sue dipendenze. Pertanto, in virtù dell’obbligo datoriale di tutelare l’integrità psico-fisica del dipendente, nel caso in cui ad un inadempimento datoriale si accompagnino per il lavoratore pregiudizi alla salute, quest’ultimo potrà agire in Tribunale per il risarcimento del danno non patrimoniale (Cass. 20 aprile 1998 n. 4012).

Inoltre, ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale è necessario che i comportamenti illegittimi del datore siano obiettivamente lesivi per il lavoratore, non essendo a ciò sufficiente che i medesimi siano semplicemente avvertiti come tali dallo stesso. In particolare, grava in capo al datore di lavoro l’onere di provare di avere adempiuto all’obbligo di protezione dell’integrità psico-fisica del lavoratore; diversamente, sul lavoratore grava il solo onere di provare la lesione dell’integrità psico-fisica ed il nesso di causalità tra tale evento dannoso e l’espletamento della propria prestazione lavorativa (Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184).

Per maggiori informazioni se desideri esporre il Tuo caso simile, scrivi a: dirittissimo@gmail.com oppure contatta il 328.2408154

www.dirittissimo.it - sezione lavoro

giovedì 10 maggio 2018


DIMISSIONI PER GIUSTA CAUSA

In quali casi un lavoratore può presentare dimissioni per giusta causa, ottenendo la disoccupazione ?

L’Avvocato del Lavoro chiarisce che le dimissioni per giusta causa sono disciplinate dall’articolo 2119 c.c., il quale prevede il diritto di recedere immediatamente dal rapporto di lavoro, senza obbligo di dare il preavviso, qualora si verifichino gravi cause o siano posti in essere gravi inadempimenti da parte del datore di lavoro, tali da non consentire la prosecuzione, neanche provvisoria del rapporto, (Cass. 17 dicembre 1997, n. 12768).

Pertanto, occorre che si verifichi un fatto che comprometta la normale prosecuzione del rapporto di lavoro.
Analizzando nel dettaglio la questione, è doveroso specificare che la valutazione dell'effettiva gravità dell'inadempimento del datore di lavoro ai suoi obblighi contrattuali è rimessa al sindacato del giudice del merito (Cass. 18 ottobre 2002, n. 14829). Dunque, la comunicazione delle dimissioni per giusta causa deve essere formulata in maniera chiara e univoca da parte del lavoratore (“mi dimetto per giusta causa” oppure “conferisco le dimissioni per giusta casa”).

Nelle ipotesi di dimissioni per giusta causa individuate dalla giurisprudenza, ritroviamo ad esempio: il mancato o ritardato pagamento della retribuzione omesso versamento dei contributi; molestie sessuali perpetrate dal datore di lavoro nei confronti del dipendente mobbing; demansionamento del lavoratore tale da creare un pregiudizio al bagaglio professionale del lavoratore.

Il lavoratore deve necessariamente reagire immediatamente, essendo l’impossibilità della prosecuzione anche provvisoria del rapporto, un presupposto imprescindibile affinché le dimissioni per giusta causa siano legittime, salvo che il differimento sia giustificato, in via del tutto eccezionale, ma comunque per un periodo brevissimo di tempo. (Trib. Grosseto 30 marzo 2005).
Inoltre, le dimissioni per giusta causa consentono al lavoratore di accedere alla disoccupazione (la c.d. Naspi).

Se desideri un parere relativamente alla possibilità di presentare le tue dimissioni per giusta causa, puoi scrivere a: dirittissimo@gmail.com oppure contattare il 328.2408154 per metterti in contatto con il giuslavorista di Dirittissimo.
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martedì 1 maggio 2018




5 CONSIGLI PER RECUPERARE LO STIPENDIO SE IL DATORE DI LAVORO NON PAGA LA BUSTA

Spesso i lavoratori, specialmente di questi tempi, si ritrovano a dover  “fare i conti” con la crisi dell’azienda e a non ricevere gli stipendi concordati. Questi, infatti, vengono sospesi, ridotti e a volte non pagati+
Che fare, allora, in questi casi? In molti si rivolgono, in prima battuta, al sindacato
E, purtroppo, neanche in questo caso riescono ad ottenere sempre giustizia.

Così non resta che rivolgersi all’avvocato del lavoro.

L’avvocato del lavoro cerca in prima battuta di raggiungere soluzioni non conflittuali, per poi ricorrere al giudice quando proprio ha tentato tutte le carte.


Cosa, allora, potrebbe consigliarvi il vostro legale di fiducia, per recuperare lo stipendio non pagato? L’avvocato del Lavoro ve lo spiega in questo articolo


1)    La diffida
Di sicuro, un atteggiamento inizialmente collaborativo può essere una scelta vincente, specie con le aziende che hanno una momentanea crisi di liquidità. 
La lettera di sollecito (anche detta “messa in mora” o “diffida”) serve anche a interrompere i termini della prescrizione. La lettera viene redatta dall’avvocato del Lavoro e in essa è sempre meglio quantificare con esattezza l’importo dovuto, quanto meno indicando le mensilità e gli altri emolumenti che non sono stati pagati.
Se poi il conteggio è complesso, e include anche rivendicazioni di straordinari e permessi non retribuiti, meglio farsi redigere un conteggio analitico da un consulente del lavoro (documento che, eventualmente, potrà anche essere allegato alla lettera di diffida).

2)    La conciliazione alla DTL


La Direzione Territoriale del Lavoro è un organo che si trova in tutte le province (ha infatti sostituito la vecchia DPL, Direzione Provinciale del Lavoro). Tra i suoi compiti c'è quello di svolgere dei tentativi di conciliazione tra lavoratori e datore di lavoro (tentativi che, una volta, dovevano essere esperiti obbligatoriamente prima di fare la causa in tribunale; oggi invece sono liberi e volontari).
Il tentativo di conciliazione, che si svolge davanti a un avvocato del Lavoro e uno dell’azienda, con un presidente della commissione, è gratuito e relativamente breve (tutto si svolge in una udienza o al massimo due). A seconda del carico di lavoro dell’ufficio, la convocazione delle parti viene effettuata a distanza di poche settimane dalla richiesta.
Su richiesta dell’Avvocato del lavoro, la DTL comunicherà poi alle parti la data dell’incontro. In tale sede, il mancato raggiungimento dell’accordo non ha alcuna ripercussione né sanzione per entrambe le parti. Al contrario, il verbale di accordo diventa titolo esecutivo e consente al lavoratore – in caso di inadempimento del datore – di andare direttamente dall’ufficiale giudiziario per il pignoramento (previa notifica dell’atto di precetto). Ma per questo è necessario comunque valersi di un avvocato che spiegherà meglio la procedura.
3) La negoziazione assistita

Lo strumento è stato appena inserito dalla nuova riforma della giustizia e richiede la presenza degli avvocati del lavoro di entrambe le parti. Anch’esso è un sistema di risoluzione stragiudiziale della controversia, che mira a tentare un accordo bonario tra le parti.

4) Tentativo di conciliazione monocratico

Sempre presso la DTL il lavoratore può chiedere l’intervento di un ispettore che verifichi se il datore è in regola con le norme lavoristiche e contributive. Come lo strumento della conciliazione, anche questo è volontario, facoltativo.

A differenza dell’altro tentativo di conciliazione in DTL, in tal caso, se non si raggiunge l’accordo, scatta una verifica presso la sede del datore per accertare (con acquisizione di documentazione e testimonianze) se il rapporto di impiego si è svolto correttamente o meno. E, in quest’ultimo caso, potrebbero essere comminate all’azienda sanzioni particolarmente rilevanti.

5) Ricorso in Tribunale

La carta del tribunale è sicuramente l’ultima strada da considerare: sia per i tempi che comporta, sia per i costi, sia soprattutto per la forte conflittualità che si potrebbe creare tra le parti in causa.
Tuttavia, se l’azienda è a rischio insolvenza e, quindi, in procinto di fallimento, forse è meglio non aspettare e procedere subito con la via giudiziale: in tal modo vi procurereste subito un titolo da spendere poi, in caso di fallimento, innanzi al giudice delegato e ottenere più velocemente il pagamento.

Se hai subito un caso simile e hai bisogno di assistenza, puoi scrivere a: dirittissimo@gmail.com e sarai contattato da un nostro avvocato del Lavoro specializzato.

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