giovedì 26 settembre 2019


INCIDENTI STRADALI CAUSATI DALLA CATTIVA MANUTENZIONE DELLE STRADE: quale responsabilità dell’Ente Pubblico? Gli ultimi arresti della Cassazione.

Tema sempre dibattuto nella giurisprudenza dei Tribunali è quello riguardante la responsabilità civile risarcitoria dell’Ente Pubblico proprietario, ovvero gestore, della strada, nei confronti di quei soggetti che (troppo spesso) sono vittime di incidenti stradali causati dalla cattiva manutenzione della via pubblica. L’argomento rimane, purtroppo, ancora di attualità: basti ricordare gli attuali problemi dovuti ai danni alle auto, o ai motocicli, per via delle strade gravemente dissestate nel Comune di Roma Capitale.

Questo articolo intende fare chiarezza su un tema che ha visto, nel corso del tempo, mutare gli orientamenti della Giurisprudenza, la quale, anche al suo vertice, ha dato in alcuni casi risposta affermativa alla domanda risarcitoria, in altri, identici o similari, invece, risposta contraria.

Quali sono, allora, per l’utente della strada pubblica, oggi, i punti fermi ai quali ancorarsi al fine di essere risarcito dall’Ente responsabile della cattiva manutenzione e che abbia causato danni a persone e/o a cose?
In quali casi si ha effettivamente diritto al risarcimento? Con quali limiti?
Cosa occorre provare?
Cosa invece deve provare l’Ente Pubblico (ad esempio, il Comune, ovvero la Provincia ecc.) al fine di andare esente da responsabilità civile?

Due decisioni della Corte Suprema di Cassazione, entrambe depositate l’1 febbraio 2018, sono particolarmente preziose ai nostri fini, in quanto fanno il punto sul più attuale “stato dell’arte” della materia, ne enucleano i principi fondamentali, e pretendono avere raggiunto uno stabile approdo interpretativo ed applicativo.

Va, innanzitutto, detto che l’utente della strada pubblica, che subisca danni per causa della medesima, trova la propria fondamentale tutela risarcitoria nell’art. 2051 del Codice Civile, il quale afferma: “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”. La giurisprudenza ha da tempo (correttamente) applicato tale disposizione normativa alle strade pubbliche, in quanto cose custodite dallo Stato o da altro Ente (Comuni, Province, Città Metropolitane, Regioni etc.).

La prima Sentenza, della III Sezione Civile della Cassazione, la n. 2479/2018, riguarda un triste caso di morte di un soggetto, il quale, a causa della presenza di una transenna rovesciata in prossimità di un tombino con coperchio non fissato, ed a causa del pessimo stato del manto stradale (che presentava profonde crepe e scanalature dell’asfalto), aveva perso il controllo del mezzo, ed era stato investito da una vettura proveniente dal lato opposto della carreggiata.

Sia il Tribunale, in primo grado, che la Corte d’Appello in secondo grado, avevano rigettato le domande di risarcimento dei danni da morte del congiunto promosse dai famigliari del deceduto.
Il Tribunale, in primo grado, non aveva, erroneamente, nemmeno applicato la norma dell’art. 2051 c.c., ma quella diversa, e generale, dell’art. 2043 c.c., meno favorevole per il danneggiato.
La Corte d’Appello, in secondo grado, ha applicato l’art. 2051 c.c., ma ha negato il risarcimento, sostenendo che:
       -  i danneggiati non avevano dato la dimostrazione del rapporto di causalità tra la cosa (la strada) e il sinistro, dato che la transenna, pur rovesciata, avrebbe potuto, secondo la Corte, essere avvistata in anticipo, e dato che non era dimostrato che l’eventuale segnalazione con luce rossa del tombino malfermo avrebbe evitato l’incidente;
    -con riferimento al manto stradale, la Corte d’Appello ne attesta lo stato di grave dissesto, ma, tuttavia, avendo accertato che il medesimo era tale da molto tempo, ha affermato che il conducente del motociclo, conoscendo il tratto di strada, aveva compiuto con assoluta imprudenza e con grave colpa la manovra di sorpasso, impegnando il tratto fortemente dissestato.
La Corte di Cassazione, con la Sentenza citata, afferma che la Corte di Appello ha errato nel negare il risarcimento del danno ai congiunti, in quanto:
- la responsabilità ex art. 2051 c.c. postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa (Cass. n. 15761/2016);
- ad integrare la responsabilità è necessario (e sufficiente) che il danno sia stato "cagionato" dalla cosa in custodia, assumendo rilevanza il solo dato oggettivo della derivazione causale del danno dalla cosa, mentre non occorre accertare se il custode sia stato o meno diligente nell'esercizio del suo potere sul bene, giacché il profilo della condotta del custode è del tutto estraneo al paradigma della responsabilità delineata dall'art. 2051 c.c.;
- ne consegue che il danneggiato ha il solo onere di provare l'esistenza di un idoneo nesso causale tra la cosa ed il danno, mentre al custode spetta di provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, nel cui ambito possono essere compresi, oltre al fatto naturale, anche quello del terzo e quello dello stesso danneggiato;
- si tratta, dunque, di un'ipotesi di responsabilità oggettiva, con possibilità di prova liberatoria, nel cui ambito il caso fortuito interviene come elemento idoneo ad elidere il nesso causale altrimenti esistente fra la cosa e il danno;
- non può escludersi, invero, che un'eventuale colpa venga fatta specificamente valere dal danneggiato, ma, trattandosi di azione ex art. 2051 c.c., la deduzione di omissioni o violazioni di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode può essere diretta soltanto a rafforzare la prova dello stato della cosa e della sua attitudine a recare danno, sempre ai fini dell'allegazione e della prova del rapporto causale tra la prima e il secondo; né è da escludere che, viceversa, sia il custode a dedurre la conformità della cosa agli obblighi di legge o a prescrizioni tecniche o a criteri di comune prudenza al fine di escludere l'attitudine della cosa a produrre il danno: in entrambi i casi si tratta di deduzioni volte a sostenere oppure a negare la derivazione del danno dalla cosa e non, invece, a riconoscere rilevanza al profilo della condotta del custode.
- resta dunque fermo che, prospettato e provato, dal danneggiato, il nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso, la colpa o l'assenza di colpa del custode rimane del tutto irrilevante ai fini dell'affermazione della sua responsabilità ai sensi dell'art. 2051 c.c.
- Il caso fortuito può essere integrato dalla stessa condotta del danneggiato (che abbia usato un bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) quando essa si sovrapponga alla cosa al punto da farla recedere a mera occasione o "teatro" della vicenda produttiva di danno, assumendo efficacia causale autonoma e sufficiente per la determinazione dell'evento lesivo, così da escludere qualunque rilevanza alla situazione preesistente;


La Corte afferma poi, esplicitamente, che caso fortuito esimente l’Ente Pubblico dalla responsabilità può essere una modifica repentina della strada stessa causata da fatti esterni, come il rilascio di una macchia d’olio da un veicolo, o una pioggia eccezionale: questi sono esempi di caso fortuito esimente, in quanto, data la modificazione repentina della strada, l’Ente non ha il tempo materiale per provvedere a porre tempestivo rimedio. Tuttavia, il permanere nel tempo della situazione eccezionale (ad esempio, una macchia d’olio lasciata sull’asfalto per un intero giorno) non giustifica più l’Ente gestore della strada, il quale avrebbe potuto, e dovuto, rimediare alla insidia.

La Corte di Cassazione annulla, quindi, la sentenza della Corte d’Appello, e rinvia alla medesima per una nuova pronuncia, sottolineando la contraddittorietà della decisione, che da un lato aveva riconosciuto lo stato di grave dissesto della strada, e, dall’altro, ha rifiutato il risarcimento sostenendo la assoluta negligenza del de cuius. Invero, nel caso di specie, sostiene la Cassazione, non si poteva assolutamente applicare il principio secondo cui la colpa del danneggiato esclude il diritto al risarcimento: ciò che non può darsi, evidentemente, quando - come nel caso esaminato dalla Corte - l'evento dannoso si sia verificato "all'interno" di una situazione di macroscopica insidiosità della cosa (dalla sentenza di di appello emerge che il tratto di asfalto dissestato e interessato da profonde solcature era esteso per ben 35 metri, con un'ampiezza che variava da 2 metri - a valle - a 40 centimetri a monte, in prossimità del tombino e della transenna rovesciata), ove non emerga che tale situazione sia stata del tutto ininfluente nel determinismo dell'evento, ossia - nella specie - che il sinistro si sarebbe verificato egualmente, quale effetto della imprudente condotta di guida, anche se la strada si fosse presentata in condizioni di normalità (priva di sconnessioni dell'asfalto, di un tombino non segnalato e di una transenna rovesciata a terra).

La seconda decisione della Cassazione del 2018, la Ordinanza n. 2481 della III Sezione Civile, è interessante in quanto ribadisce gli stessi principi concernenti il risarcimento del danno derivante da cose in custodia di cui alla Sentenza n. 2479. Tuttavia, rigetta il ricorso del danneggiato, soffermandosi sulla qualificazione del comportamento colposo di quest’ultimo come causa escludente il risarcimento.

Trattasi di gravi lesioni di un soggetto che, percorrendo a piedi un tratto di pavimentazione stradale in cui vi sono grossi ciottoli, al fine di eseguire l'attraversamento della strada e raggiungere il lato opposto, cade a terra a causa della rotazione di uno dei ciottoli.

Il Tribunale nega il risarcimento alla persona osservando che il selciato su cui era caduta la signora costituiva un canale di scolo delle acque dal fondo irregolare e con doppia inclinazione, il cui passaggio era "intuitivamente pericoloso" perché ne era ben percepibile la conformazione e "il pericolo che i sassi si muovono se ci transita sopra"; ritiene, quindi, che l'attrice danneggiata, avendo deciso di scendere dall'ampio marciapiede e di transitare sopra detto selciato senza utilizzare gli appositi attraversamenti, non avesse proceduto con la cautela che la condizione dei luoghi richiedeva, non valutando "correttamente... la difficoltà del passaggio, che è pure era evidente" e così riponendo "un affidamento soggettivo, a dir poco, anomalo sulle sue caratteristiche", adottando, dunque, un comportamento tale da interrompere "il nesso causale tra obbligo di custodia e l'evento dannoso lamentato".

La Corte di Appello dichiara inammissibile l’impugnazione della signora.
La Corte di Cassazione conferma la negazione del diritto al risarcimento del danno, qualificando il comportamento colposo della attrice come caso fortuito.
La Corte afferma che il caso fortuito può essere rappresentato anche dalla condotta del danneggiato, ed è connotato dall'esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento; a tal fine, la condotta del danneggiato deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 della Costituzione. Pertanto, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, il comportamento imprudente di quest’ultimo può essere tale da far venire meno il diritto al risarcimento.
La Corte sostiene che il Tribunale ha valutato la condotta della danneggiata in base alle risultanze probatorie acquisite e l'ha ritenuta connotata da peculiare imprudenza, tale da integrare ipotesi di caso fortuito idoneo a recidere il nesso causale tra la cosa e il danno. A fronte di una situazione della cosa accertata come obiettivamente pericolosa (selciato che costituiva un canale di scolo delle acque dal fondo irregolare e con doppia inclinazione) l'utente della strada era, infatti, tenuto, secondo la Corte, ad un uso prudente e secondo le cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze (che consentivano anche agevoli percorsi alternativi); comportamento, questo, che, invece, non è stato adottato dalla signora.

In sintesi: al fine di ottenere il risarcimento, l’utente della strada cosa deve fare e provare?
1) il danneggiato ha soltanto l’onere di dimostrare l’accadimento del fatto (ad esempio che effettivamente si trovava in quel luogo a quell’ora, che percorreva quella strada, che effettivamente ha subito dei danni etc.);
2) il danneggiato deve poi dimostrare che i danni siano stati causati dalla strada (ad esempio che sia uscito di strada mentre la percorreva senza che altro accadesse, come ad esempio un veicolo che tamponi l’auto del danneggiato, per ubriachezza del conducente, e lo faccia finire fuori strada);
3) l’utente non deve versare in una colpa talmente grande, che da sola ha causato il danno (ad esempio soggetto che percorre una strada dissestata nella quale era segnalato divieto di transito).

Se sei stato vittima anche tu di un incidente a causa della cattiva manutenzione della strada pubblica, puoi scrivere a: studiolegale@dirittissimo.com

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