giovedì 28 aprile 2016

  
CONTRATTO DI AFFITTO

Durata
Il contratto di affitto ha sempre una durata prefissata dalla legge, cui le parti non possono derogare. Il contratto più usato è quello con durata di 4 anni, con rinnovo automatico, alla prima scadenza, di altri 4 anni (salvo alcune specifiche ragioni che consentono la disdetta dopo i primi 4 anni); alla scadenza degli 8 anni, il contratto si rinnova tacitamente (per uguale periodo), salvo disdetta.
In alternativa c’è il contratto a 3 anni con rinnovo automatico di altri 2 anni (salvo le stesse ragioni di disdetta anticipata, previste per il contratto 4+4). Anche qui, alla scadenza dei 5 anni il contratto si rinnova tacitamente per uguale periodo, salvo disdetta.

Recesso
·         per cause indicate nel contratto Nel contratto di locazione, padrone di casa e inquilino possono liberamente stabilire dei motivi al verificarsi dei quali si può disdettare anticipatamente il contratto. Quindi, prima della firma della scrittura, l’inquilino può far inserire una clausola in cui gli si attribuisca il diritto di recedere dall’affitto in caso di trasferimento per lavoro o per altre specifiche ragioni, in base alle sue esigenze. La legge, infatti, non pone limiti al potere delle parti di “personalizzare” il contratto inserendo delle cause di recesso anticipato ).

·         per gravi motivi Se il contratto, però, non dovesse indicare alcun motivo di recesso anticipato, la legge consente sempre la possibilità di dare disdetta dell’affitto qualora ricorrano gravi motivi, anche se ciò non è indicato nella scrittura privata.Ovviamente la dizione della norma è generica. Cosa si intende per gravi motivi? La spiegazione è stata più volte fornita dalla giurisprudenza che ha fissato dei criteri guida. Si deve trattare di cause:

·         sopravvenute: ossia non prevedibili prima della firma del contratto (per esempio, il dipendente che sa già di essere trasferito in un’altra località di lì a breve non potrebbe invocare il grave motivo di recesso anticipato);

·         incolpevoli: la colpa o la volontà del trasferimento non deve essere determinata dall’inquilino. Così se è questi che vuol cambiare città per tentare nuove opportunità di lavoro non potrebbe invocare il diritto al recesso anticipato. Diverso potrebbe essere il caso del dipendente obbligato, in quanto licenziato e necessitato a trovare opportunità di nuova occupazione;

·         oggettive: la gravosità della prosecuzione del rapporto “deve avere una connotazione oggettiva, a prescindere dalla valutazione unilaterale effettuata dal conduttore in ordine alla convenienza o meno di continuare il rapporto locativo. Rispetto poi alle locazioni abitative, la gravosità della prosecuzione va valutata non (solo) sotto il profilo economico ma anche tenendo conto delle esigenze di vita del conduttore medesimo.

·         per trasferimento per motivi di lavoro
È pacifico in giurisprudenza che tra le esigenze oggettive e sopravvenute vi siano anche quelle del trasferimento del lavoro in altra sede, soprattutto quando ciò non dipende dalla volontà del lavoratore. Ma è necessario che la distanza sia rilevante (nel caso di specie, non è stata ritenuta tale quella che divide Pisa e Firenze, di circa 90 km).

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martedì 26 aprile 2016

LA RESPONSABILITÀ DEL MEDICO CHE, PER COLPA, NON DIAGNOSTICA UNA GRAVE PATOLOGIA DEL FETO.



Ci sembra interessante, questa volta, un tema di grande delicatezza affrontato con semplicità e profondità dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 25767/2015: la responsabilità del medico che, per colpa, non diagnostica una grave patologia del feto:

àrisarcimento nei confronti della madre  la quale avrebbe potuto esercitare la facoltà di abortire ;
ànessun risarcimento nei confronti del bambino infatti non esiste, secondo la Consulta, un “diritto a non nascere”.
Il bambino nato malformato acquisisce il diritto al risarcimento nel caso in cui la malformazione costituisca l’effetto di una colpa professionale del medico nella fase della gestazione:  un obbligo di risarcimento del danno nei confronti del feto = concetto di “concepito” come soggetto d’imputazioni giuridiche che però divengono effettive nel momento della nascita ossia solo in quel momento infatti acquista la capacità giuridica.

Errore nella diagnosi dell’inabilità congenita
Anche se il medico abbia per colpa professionale omesso di accertare una patologia esistente nel feto, ciò non legittima una richiesta di risarcimento da parte del bambino malformato.
I genitori affermavano con il ricorso che il bambino avesse diritto al risarcimento del danno “per l’impossibilità di un’esistenza sana e dignitosa” Nel caso in esame, la tesi che ammettesse il danno a seguito del mancato aborto, incorre in una contraddizione insuperabile, dal momento che l’alternativa risiederebbe nella comparazione tra la vita e la non vita. La “non vita” non può essere un bene della vita la cui violazione implica un risarcimento. Perché, in caso contrario, sarebbe per assurdo ipotizzabile una responsabilità della madre nei confronti del figlio disabile, allorché essa abbia deciso di portare avanti la gravidanza seppur consapevole della malattia.
Il valore della vita, insomma, prevale su un teorico e mai condiviso “diritto a non nascere”.

Risarcimento in favore della madre
Secondo la Cassazione qualora esistessero i presupposti per l’interruzione di gravidanza, l’errore professionale del medico che non ha diagnosticato la malformazione lasciando alla madre la decisione sulla prosecuzione della gravidanza, può far scaturire un obbligo di risarcimento.
La madre dovrà dimostrare che le malformazioni del nascituro hanno causato grave pericolo per la sua salute fisica o psichica e che nel caso fosse stata informata avrebbe senz’altro scelto l’interruzione della gravidanza.
Dovrà dimostrare pure che l’errore nella diagnosi sia attribuibile ad una responsabilità professionale del medico.



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venerdì 15 aprile 2016

IL CANONE RAI NON SARA’ INSERITO IN BOLLETTA



Il Consiglio di Stato ha bocciato il decreto attuativo della misura inserita nella legge di stabilità, e mancano pochi giorni alla scadenza del 30 aprile per l'invio dell'autocertificazione per non pagare l'imposta Rai. Secondo l’autorevole organo giudicante il decreto è in sostanza da perfezionare non e’ esaustivo ed e’ evidente la poca chiarezza del testo

= non dà una definizione di cosa debba intendersi per apparecchio televisivo;

= manca il riferimento allo scambio dati tra vari enti coinvolti necessario per l'addebito in bolletta;

= il nuovo sistema di pagamento del canone tv non soddisfa i criteri di privacy garantiti per legge, considerata la notevole mole di dati che saranno scambiati tra gli enti coinvolti

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·        Secondo Federconsumatori infatti il Consiglio di Stato ha bocciato l'idea balzana del canone Rai in bolletta, partorita da un governo apprendista stregone, che vuole continuare a stangare i cittadini. Trattasi di un intollerabile tentativo di fare cassa sulle tasche delle famiglie, che sono libere di decidere se possedere o meno un televisore. Se la Rai vuole avere a disposizione più risorse faccia la sua parte: operi a tutto spiano tagli agli sprechi, ai privilegi, agli abusi, evitando di assumere esterni con contratti milionari secretati direttamente proporzionali ai flop negli ascolti, invece di valorizzare le eccellenti risorse umane interne, e si concentri sull'offerta di un servizio pubblico di qualità che punti veramente sui contenuti, sulla cultura e sull'informazione.
·        Secondo Codacons la conseguenza del parere del Consiglio di Stato sarà quella di non inserire il canone in bolletta, almeno fino a che non saranno superate le pesanti criticità rilevate. Il Governo deve ora sospendere il decreto e apportare tutte le correzioni richieste dai giudici. L'unica cosa certa in mezzo ai tanti dubbi e alla totale mancanza di informazioni per i cittadini, è che sul canone Rai in bolletta regna il caos più totale, motivo per cui il Governo farebbe bene a rinunciare del tutto al provvedimento".


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lunedì 11 aprile 2016



PEREQUAZIONE: IL RINNOVO DEL BLOCCO DELLE RIVALUTAZIONI FINO AL 2018 - IL NUOVO BLOCCO DELLE RIVALUTAZIONI



Una nuova legnata in arrivo per i pensionati: il rinnovo del blocco delle rivalutazioni fino al 2018. 
Tra le pieghe del Def, e nel programma nazionale delle riforme si nasconde una frode previdenziale:  
à E' prevista in via temporanea, una proroga delle disposizioni decise per il triennio 2014-2016 in materia di revisione del meccanismo di indicizzazione dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte il minimo, con un risparmio di spesa che ammonta a circa 355 milioni nel 2017 e circa 750 milioni nel 2018.

= Non adeguando per l' ennesima volta, le pensioni superiori ai 1.500 euro al mese al costo della vita il governo risparmierà nei prossimi 2 anni oltre 1 miliardo.

Memo: Sulla questione del blocco è intervenuta la Consulta con la sentenza n. 70/2015 dello scorso maggio, bocciando le disposizioni del c.d. decreto "Salva Italia" (l. n. 201/2011) e obbligando il Governo a prendere atto dell'illegittimità costituzionale e ad emanare un decreto legge (n. 65/2015) con la previsione di rimborsi ai pensionati per il sacrificio ingiusto richiesto, al fine di dare attuazione ai principi richiamati nella sentenza.
Il decreto peraltro ha riconosciuto solo una parziale rivalutazione e il rimborso degli arretrati (il c.d. bonus Poletti), tanto da scatenare una pioggia di ricorsi e da rimandare anche la nuova norma davanti alla Consulta.
Storia già vista, insomma.

Ma non solo il quotidiano Libero afferma che , "per far vedere che il governo taglia le spese, il Pnr indica agli enti nazionali di previdenza e assistenza (come l' Inps, ma non solo), di ridurre «le spese correnti (...) per almeno 53 milioni nel triennio 2016-2018". Peccato che l'Inps da anni avvisa che continuando a ridurre il budget il rischio è intaccare i servizi ai cittadini (e il buco dell'Inps è già notorio
·         Quindi, stando così le cose, non solo appare piuttosto complicato dar seguito all'annuncio dell'estensione dei famosi 80 euro anche al popolo delle minime (misura per la quale servirebbero 3 miliardi l'anno che non ci sono), ma il rischio è andare a toccare (al ribasso) anche le altre fasce.


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mercoledì 6 aprile 2016

LA RIPARTIZIONE DELLE SPESE CONDOMINIALI : PUO’ ESSERE PREVISTO  ANCHE UN CRITERIO DIVERSO DALLA PROPORZIONALITÀ



La ripartizione delle spese condominiali ossia quelle relative a beni e servizi di cui tutti godono indistintamente, è spesso fonte di controversie, pertanto occorre far riferimento all'articolo 1123 del codice civile, il quale sancisce la regola generale:
“Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno salvo diversa convenzione.
= il principio sotteso: i condomini si fanno carico in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno.
L'articolo 1123 c.c. prosegue poi sancendo che le spese relative a cose destinate a servire i condomini in maniera diversa sono ripartite in proporzione all'uso che ciascuno può farne e che se un edificio ha più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire solo una parte del fabbricato, delle relative spese si fa carico solo il gruppo di condomini che ne trae utilità.
 Il secondo comma deroga al primo, sulla base del principio di equità sostanziale.
·         Ad esempio, i proprietari di negozi al piano terra, non sono tenuti a partecipare alle spese di illuminazione delle scale che conducono agli appartamenti posti ai piani superiori.
·         A seguito della riforma del condominio entrata in vigore nel 2013, l'art. 1118 del c.c. stabilisce espressamente il diritto del condomino a distaccarsi dall'impianto centralizzato di riscaldamento o condizionamento
Ciò nonostante, la medesima norma fa salve delle diverse convenzioni.
 La "diversa convenzione" con la quale può essere derogata la disciplina legale sopra riportata - anche quella eventualmente stabilita con delibera condominiale adottata all'unanimità - non è sottoposto ad oneri di forma e quindi può scaturire anche da comportamenti univocamente concludenti, protrattisi nel tempo e dai quali sia possibile ricavare l'accettazione di tutti i condomini di diversi criteri di riparto delle spese ( Cass. n 20318 del 15 ottobre 2004).
Se l’appartamento e’ dato in locazione? salvo che il contratto disponga diversamente, le spese condominiali di
·          ordinaria amministrazione per piccole riparazioni e relative al godimento delle parti comuni sono a carico dell'affittuario;
·         straordinarie e quelle necessarie per le innovazioni, per l'amministratore e per l'assicurazione dell'edificio sono a carico del proprietario".



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lunedì 4 aprile 2016

GLI ANIMALI NON SONO PIÙ DELLE COSE: LA RESPONSABILITÀ DEI VETERINARI





La responsabilità civile del veterinario prevista dall'art. 2236 c.c.
= Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave."

·                 Il veterinario, risponde di errata diagnosi, negligenza, imperizia e imprudenza come i medici che curano gli umani;

·     risponderà solo quando il suo operato sia intenzionalmente negligente nel causare un danno, oppure sia determinato da un comportamento gravemente colposo;

·     il veterinario risponderà anche per colpa lieve nel caso di interventi routine e privi di particolari difficoltà
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La responsabilità gravante sul veterinario è di tipo contrattuale nei confronti del proprietario di un animale, indipendentemente dalla sottoscrizione di un contratto in forma scritta, infatti da ormai 5 anni sono obbligati a contrarre un'assicurazione per i danni derivanti dall'esercizio professionale.
(= un contratto d'opera intellettuale)

Il proprietario dell'animale:
a)  deve rispettare il termine di prescrizione pari a dieci anni
b) deve dimostrare unicamente l'esistenza del rapporto giuridico e il danno.
Il veterinario: deve provare di avere agito con diligenza e perizia che l'inadempimento, l'errore, o la colpa non è a lui imputabile.

Sono ravvisabili aspetti di responsabilità extracontrattuale 
·       un animale che, sotto la custodia del veterinario, provochi danni ad un terzo soggetto (=responsabilità aquiliana per danni a terzi).
·       il professionista è responsabile anche degli animali che ha in custodia e risponde di eventuali danni da questi causati verso terzi.
Se il veterinario presta la propria attività professionale in una struttura, il proprietario dell'animale instaura un rapporto sia con il professionista, sia con la struttura che mette a disposizione lo spazio, le attrezzature e l'assistenza
---> responsabilità contrattuale del veterinario + responsabilità oggettiva della struttura

I medici veterinari, sono obbligati a fornire un consenso informato al proprietario dell'animale.

il risarcimento del danno
= e’ stato riconosciuto dopo molti anni al proprietario dell'animale anche il risarcimento del danno morale per la perdita dell'animale d'affezione - Tribunale di Milano, Sezione V, del 20/7/2010 – Corte d'Appello di Roma del 27 marzo 2015 -
La legge riconosce il legame particolare che si instaura tra animale e padrone: il loro rapporto rientra in quelle attività, garantite dalla Costituzione, attraverso le quali si realizza la persona. Qualora questo tipo di legame affettivo si spezzi per colpa altrui, si viene quindi a legittimare un risarcimento anche dei danni morali subiti dal padrone."
La relazione tra cane e padrone è un legame affettivo a tutti gli effetti  e non si può considerare futile la perdita dell'animale poiché va a ledere la sfera emotivo-interiore del padrone.
Per gli errori commessi in "medicina veterinaria" vi è la tutela risarcitoria per il proprietario dell'animale nei confronti del Veterinario, della struttura in cui lo stesso esercita, a titolo patrimoniale e non patrimoniale.


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