mercoledì 17 luglio 2019



CONTRATTO DI LEASING: QUALI PARTICOLARITA’?

Il contratto di leasing è una forma particolare di contratto di locazione : consente ad un determinato soggetto, di utilizzare un bene a fronte del pagamento di un canone mensile. La particolarità del leasing sta nella possibilità, al termine del contratto, di riscattare il bene oggetto dello stesso: l’utilizzatore infatti può scegliere di restituire il bene al proprietario oppure acquistarlo, pagando una somma predeterminata al momento della stipula del contratto.
Anche dal punto di vista livello fiscale, il contratto di leasing presenta diversi vantaggi, poiché è soggetto a regimi fiscali agevolati e consente, nel caso per esempio di automobili o di macchinari ad uso industriale, di sostituirli spesso.
Cosa accade se l’utilizzatore non ha più interesse nei confronti del bene oggetto di leasing?
In tali casi, è prevista la possibilità di subentro nel contratto di leasing (tramite un accordo avente precisi requisiti giuridici tra concedente – utilizzatore e subentrante) ovvero, il subentrante sostituisce il precedente utilizzatore e ne acquista stessi diritti e stessi doveri. Allo stesso modo il subentrante può acquisire la proprietà del bene oggetto di leasing alla fine della locazione.
Tale tipo di subentro non avviene però a titolo gratuito: di norma il subentrante dovrà pagare una somma pari al valore nominale del bene oggetto del contratto, decurtato dei canoni mensili ancora da pagare e della somma finale prevista per l’eventuale riscatto del bene.
Differenze tra leasing e noleggio auto a lungo termine
Sono due forme distinte di contratti che si differenziano per il fatto che il noleggio a lungo termine non dà la possibilità di acquisire la proprietà del bene al termine della locazione. Inoltre, rispetto al leasing, non è previsto il pagamento di costi iniziali da sostenere né maxi rata finale.
Si pagherà la rata mensile comprensiva anche di costi di assicurazione e manutenzione , la tassa di proprietà ed il soccorso stradale oltre che una serie di altri servizi non compresi nel contratto di leasing.
Esiste anche il LEASING IMMOBILIARE, specialmente dopo il 2015 è diventato molto utilizzato nel mercato immobiliare.
Per i contratti stipulati dal 1 gennaio 2016 al 21 Dicembre 2020 è possibile detrarre i costi  del leasing per la prima casa.
Con il leasing immobiliare la società di leasing si assume l’obbligo di acquistare un immobile o di farlo costruire, seguendo le indicazioni dell’utilizzatore che paga un canone periodico e lo utilizza per un determinato periodo di tempo. Alla scadenza di tale contratto poi l’utilizzatore potrà decidere se riscattare o meno l’immobile pagando il corrispettivo nel contratto.
Esistono poi altre forme di leasing, finanziario, lease back e ciascun contratto presenta le sue particolarità.
Per maggiori informazioni sul Tuo contratto di leasing, scrivi a studiolegale@dirittissimo.com 

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lunedì 20 maggio 2019


RAPPORTO  INQUILINO – PROPRIETARIO QUALI TUTELE?
Quali tutele per il proprietario se un inquilino ha danneggiato la casa che gli abbiamo dato in locazione?
Come bisogna comportarsi di fronte ad un inquilino che, oltre a non pagare le mensilità pattuite, ha danneggiato parti fondamentali della casa?
Ex art. 1590 c.c. un inquilino ha il dovere di restituire la cosa locata nelle medesime condizioni nelle quali gli è stata consegnata, salvo ovviamente il normale deperimento dovuto al trascorrere del tempo e all’usura.
Il conduttore deve restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto.
Esistono degli accorgimenti a tutela del proprietario che permettono di prevenire eventuali danni, per esempio, al momento della stipula del contratto di locazione, è opportuno fare una sorta di verbale di consegna, in cui si descrive lo stato dell’immobile e gli eventuali difetti già presenti.
Se tale verbale non è stato fatto, si presume che l’immobile fosse in buono stato.
Per quanto riguarda la casa danneggiata, abbiamo visto che l’inquilino è pienamente responsabile, a meno che non riesca a dimostrare che i danni siano stati provocati da caso fortuito o comunque che non dipendano da una sua responsabilità.
E’ possibile procedere con un’azione legale volta ad ottenere il risarcimento dei danni patiti, il cui ammontare comprenderà sia le spese che sarà necessario sostenere per le riparazioni, sia il cosiddetto lucro cessante, ovvero il mancato guadagno dovuti all’impossibilità di locare nuovamente l’immobile nell’attesa che terminino i lavori di riparazione.

E’ bene sapere che incombe al locatore, che i danni pretende, fornire la prova del fatto costitutivo del vantato diritto, e cioè il deterioramento intervenuto tra il momento della consegna e quello della restituzione dell’immobile, essendo quindi onere del conduttore dimostrare il fatto impeditivo della sua responsabilità, che il deterioramento si è verificato per uso conforme al contratto o per fatto a lui non imputabile.

Per quanto riguarda le mensilità non pagate, è possibile procedere con una procedura giudiziale di sfratto per morosità che consente di adire l’autorità giudiziaria per ottenere il pagamento delle mensilità e lo sfratto del conduttore dall’immobile locato.

Per maggiori informazioni scrivere a: studiolegale@dirittissimo.com

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lunedì 13 maggio 2019

IL RISCHIO DELLO STRESS DA LAVORO

Individuare i sintomi di stress da lavoro è una delle forme di prevenzione in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro secondo il vigente quadro normativo, costituito dal decreto legislativo 81/2008 (Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro) e successive modifiche e integrazioni.
Il testo unico, ha specificamente individuato lo “stress lavoro-correlato” come uno dei rischi oggetto, sia di valutazione che di gestione e in applicazione all’Accordo europeo sullo stress sul lavoro dell’8 ottobre 2004 ha demandato alla Commissione Consultiva permanente per la salute e la sicurezza del lavoro il compito di «elaborare le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio stress lavoro-correlato».
Fondamentale osservare che il Dlgs 81/2008, tra le definizioni contenute nell’articolo 2, comma 1, lettera o), recepisce la definizione, data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, del concetto di “salute” intesa quale «stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità».
Con il Dlgs 81/2008 viene quindi introdotta una visione più ampia della prevenzione della salute e sicurezza sul lavoro secondo i principi definiti della “Responsabilità Sociale.
Tra i più generici sintomi dovuti a condizioni di stress da lavoro si possono menzionare, oltre a un diffuso malessere psicofisico , stanchezza, dolori muscolari, calo delle difese immunitarie e quindi maggiore propensione ad ammalarsi, iperattività, depressione e ansia, irritabilità , problemi all’apparato digerente , incapacità di esprimersi correttamente .
Le fonti di stress negli ambienti di lavoro sono generalmente ricondotte a due categorie : quella inerente il contesto lavorativo e quella inerente, invece, le attività di lavoro .
In entrambi le situazioni i sintomi sono i medesimi e il rischio di incidente lavorativo può essere anche grave .
Lo stress lavoro-correlato produce effetti negativi non solo sul lavoratore ma anche sull’azienda.
Si pensi non solo alla produttività del lavoratore in termini quantitativi ma anche alla possibilità di errori produttivi, incidenti causati da errore umano, assenze per malattie nonché eventuali problematiche di tipo legale.
Il percorso di valutazione
Questi elementi comportano direttamente o indirettamente degli oneri economici in capo all’azienda che possono essere sensibilmente ridotti applicando un percorso di valutazione dello stress lavoro-correlato e trattandolo a tutti gli effetti come un rischio lavorativo da prevenire ed eliminare.
La valutazione in discorso deve essere efficace e non solo formale e deve essere anche fattiva e tendere a essere oggettivamente risolutrice delle problematiche emerse.  
Il Dlgs 81/2008 ha introdotto l’obbligo di valutazione del rischio stress lavoro-correlato da parte dei datori di lavoro (articolo 28, comma 1-bis).
L’obbligo di valutazione di questo rischio e, alla stessa stregua di tutti gli altri rischi, è sanzionato dall’articolo 55, comma 1, lettera a) (violazione dell’articolo 29, comma 1, relativo alla valutazione dei rischi ed elaborazione del Documento di Valutazione dei Rischi - DVR).
L’Accordo Europeo dell’ottobre 2004 definisce lo stress lavoro correlato come «stress intrinsecamente derivante dal lavoro ossia dall’attività lavorativa svolta; è l’insieme di reazioni, fisiche ed emotive, dannose che si manifestano quando le prestazioni richieste sul lavoro non sono commisurate alle capacità, risorse o esigenze del lavoratore».
Sono invece escluse dalla definizione di stress da lavoro correlato le situazioni nelle quali si riscontra una volontà di ledere la dignità del lavoratore (ad esempio mobbing, straining, ecc.) nonostante si potrebbero comunque avere effetti del tutto simili.
Un ruolo di primo piano è assegnato allo studio dell’organizzazione del lavoro, concretizzato nell’inserimento all’articolo 15, comma 1, lettera d), del Dlgs 81/2008, del «rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro» che significa che nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione si deve tenere in conto di evitare il lavoro monotono e ripetitivo che può avere effetti negativi sulla salute in termini di stress.
L’articolo 32, comma 2, del Dlgs 81/2008 sottolinea che la formazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (Rspp) deve riguardare anche i rischi «di natura ergonomica e da stress lavoro-correlato».
Le modalità di valutazione del rischio sono indicate dalla “Commissione Consultiva Permanente per la Salute e Sicurezza sul Lavoro” (articolo 6, comma 8, lettera m-quater), del Dlgs 81/2008), emanate tramite la circolare ministero del Lavoro del 18 novembre 2010, che in sintesi ritiene che non si possono fare indagini di tipo soggettivo (ovvero basate su questionari) se prima non si analizza il fenomeno rischio Stress da Lavoro correlato sulla base di dati oggettivi, complessivi e quantitativi dei cosiddetti “eventi sentinella” (assenze per malattia - escluse maternità, allattamento, congedi parentali - indisposizioni, assenze per infortunio, età anagrafica media, turn-over del personale, numero di richieste di trasferimento).
Le linee guida
Prima dell’emanazione delle indicazioni da parte della Commissione consultiva permanente, molti degli enti che operano in seno a detta commissione (formata dalle organizzazioni datoriali, sindacali, dall’Inail, dalle regioni, dai Ministeri competenti) hanno autonomamente emesso proprie linee guida.
A tale riguardo si deve fare menzione del fatto che il Dipartimento Medicina del Lavoro dell’Inail - ex Ispesl - ha redatto un manuale d’uso con delle Linee Guida in materia di requisiti e standard in tema di salubrità dei luoghi in cui si svolge l’attività lavorativa ai sensi del decreto legislativo 81/2008.
Il Dipartimento medicina del lavoro è partito di base dalle indicazioni della Commissione consultiva integrandolo e ha scelto di definire un percorso metodologico basato sul Modello già approntato nella realtà Britannica e basato sull’ “Indicator tool” (“questionario-strumento indicatore”) coinvolgendo più di 75 aziende afferenti a diversi settori produttivi e più di 6.300 lavoratori.
Per riportare succintamente il metodo di accertamento indicato dalla Commissione consultiva per la verifica dei fattori stressanti si prevede come primo approccio una “valutazione preliminare” e una “valutazione approfondita”.
Nella valutazione preliminare si deve effettuare la rilevazione, di «indicatori di rischio da stress lavoro correlato oggettivi e verificabili e ove possibile numericamente apprezzabili», individuati dalla Commissione consultiva, appartenenti “quanto meno” a tre famiglie distinte:
1) Eventi sentinella:
·         le assenze dal lavoro;
·         le assenze per malattia;
·         le ferie non godute;
·         gli indici infortunistici;
·         i procedimenti/sanzioni disciplinari;
·         istanze giudiziarie;
·         le segnalazioni del medico competente;
·         le lamentele formalizzate da parte dei lavoratori;
2) Fattori di contenuto del lavoro;
·         ambiente di lavoro e attrezzature da lavoro;
·         carichi e ritmi di lavoro;
·         orario di lavoro e turni;
·         corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e i requisiti professionali richiesti;
·         ambiente e attrezzature di lavoro;
3) Fattori di contesto del lavoro:
·         ruolo nell’ambito dell’organizzazione;
·         autonomia decisionale e controllo;
·         conflitti interpersonali al lavoro;
·         evoluzione e sviluppo di carriera.
Se dalla valutazione preliminare non emergono elementi di rischio da stress lavoro-correlato il risultato è riportato nel Documento di Valutazione dei rischi (DVR) prevedendo un piano di monitoraggio per il periodo successivo.
Nel caso in cui invece emergano elementi di rischio si procede alla pianificazione e alla adozione degli opportuni interventi correttivi e nel caso in cui questi ultimi si rilevino “inefficaci”, si deve passare alla “valutazione approfondita”.
Gli strumenti per la valutazione sono a titolo esemplificativo:
· questionari,
· focus group,
· interviste.
Per le imprese fino a 5 lavoratori, il datore di lavoro può scegliere di utilizzare modalità di valutazione diverse quali riunioni a patto che garantiscano comunque il coinvolgimento diretto dei lavoratori nella ricerca delle soluzioni e nella verifica della loro efficacia.
In definitiva le indicazioni della Commissione consultiva pongono il datore di lavoro e le figure della prevenzione quali chiari destinatari della valutazione del rischio da stress lavoro-correlato ma richiedono anche un coinvolgimento e una partecipazione attiva dei lavoratori.
I risultati ottenuti dalla fase preliminare e dalla eventuale fase approfondita, devono essere oggetto della pianificazione e analisi al fine di permettere al datore di lavoro l’adozione delle eventuali misure correttive necessarie all’eliminazione/riduzione del rischio e del relativo piano di monitoraggio.
Si ritiene utile menzionare che ai sensi dell’articolo 25, comma 1, del Dlgs 81/2008 il medico competente ha l’obbligo, di collaborare al processo di valutazione dei rischi compreso il rischio da stress lavoro-correlato con un ruolo partecipativo attivo.
Il medico competente può aiutare nell’individuazione dei gruppi omogenei di lavoratori per l’effettuazione della valutazione e, ancor di più, nella caratterizzazione di specifici eventi sentinella e di specifici fattori di contesto e di contenuto del lavoro.
Allo stesso modo può aiutare nell’interpretazione dei risultati della fase preliminare della valutazione e in ragione delle proprie funzioni e competenze può venire a conoscenza di situazioni di comportamenti di singoli o gruppi di lavoratori o di situazioni di disagio che possono essere fondamentali per la valutazione dei fattori stressanti sul luogo di lavoro.
È da rilevare peraltro che sebbene il processo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato porti a risultati negativi il medico competente potrebbe rilevare singole criticità per determinati lavoratori e in tale contesto sarà fondamentale l’apporto di questa figura nella gestione di tali casi.
Proprio in tale ottica si ritiene fondamentale un’adeguata informativa ai lavoratori per illustrare loro la possibilità di rivolgersi al Medico competente anche attraverso la richiesta di visita medica ex articolo 41, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 81 del 2008.
Se ritieni di essere in una situazione di stress causata dall'ambiente del tuo luogo di lavoro, puoi contattarci scrivendo a: studiolegale@dirittissimo.com, oppure contattando il 328.2408154.

www.dirittissimo.com - sezione lavoro

mercoledì 17 aprile 2019


PROTOCOLLI D’INTESA: STOP ALLE LITI TRA CONIUGI PER LE SPESE
Le spese straordinarie sono sempre state un argomento di conflittualità per le coppie separate e divorziate in quanto ogni soggetto coinvolto tentava, come si suol dire, di tirare l’acqua al proprio mulino.
Oltre a ciò si consideri che i Giudici chiamati a dirimere le questioni loro sottoposte spesso decidevano in maniera diversa casi simili.
Per dirimere tali controversie, diversi Tribunali italiani, come rende noto l’Avv. Luca Avaldi esperto in diritto di famiglia, tra il 2014 ed il 2015, hanno sottoscritto con i Consigli dell’Ordine degli Avvocati dei c.d “protocolli d’intesa” con i quali hanno codificato le spese che possono essere definite straordinarie e, tra queste, quali possano essere effettuate senza preventivo accordo dei genitori e quali invece richiedano il preventivo accordo dei genitori.
Prima dell’introduzione dei suddetti protocolli molti genitori chiedevano all’altro che gli rimborsasse, quali spese straordinarie, ogni acquisto che effettuavano (mensa scolastica, vestiario, giochi ecc.), in alcune occasioni senza documentare l’acquisto e di sovente con la pretesa che il rimborso venisse effettuato il giorno successivo alla comunicazione.
L’introduzione dei suddetti protocolli d’intesa ha fatto chiarezza su diversi aspetti relativi alla ripartizione delle spese tra coniugi, stabilendo ad esempio che le spese per la mensa, salvo diverso accordo dei genitori, non rientrano tra le spese straordinarie che il genitore deve rimborsare all’altro. I protocolli prevedono inoltre che il 50% delle spese straordinarie sostenute da uno dei genitori, devono essergli  rimborsate entro 15 giorni dalla richiesta documentata e che non tutte le spese straordinarie devono essere necessariamente concordate dai genitori, lasciando a ciascuno uno minimo di autonomia.
Non tutto è risolto ma i protocolli d’intesa hanno agevolato gli avvocati e diminuito la conflittualità tra i genitori che hanno scelto di dividersi.

Se vuoi esporre la Tua questione di diritto di famiglia, scrivi a: studiolegale@dirittissimo.com 


Avv. Luca Avaldi

martedì 9 aprile 2019


ATTENZIONE ALLE COMUNICAZIONI DELL’INPS RELATIVE ALLE SOMME CORRISPOSTE IN MANIERA ERRONEA


Non di rado, molti pensionati ricevono comunicazioni dell’INPS circa somme corrisposte in maniera erronea sulla pensione.
Si tratta di un fenomeno molto frequente nel rapporto tra Inps e pensionati, quello dell’erogazione di somme di pensione maggiori di quelle spettanti e nella maggior parte dei casi il cittadino non sa nemmeno il perché gli abbiamo corrisposto una cifra maggiore di quella che gli spettava e si trova così ad essere un debitore senza colpe.
E’ quel che è successo ad una signora che si è rivolta ad un avvocato previdenziale, poiché, da un giorno all’altro, si è vista arrivare una comunicazione in cui l’Inps le chiedeva la restituzione di ben Euro 14.000,00 con la motivazione di un errore nel calcolo della pensione comunicando che da un certo giorno, avrebbe iniziato a trattenere parte della pensione residua come rata del debito.

Che fare in tali casi?

E’ bene sapere che la Cassazione (con sentenza del gennaio 2017) si è espressa per far fronte a tali situazioni purtroppo non infrequenti, affermando che L'ente erogatore, l’Inps, può rettificare in ogni momento le pensioni per via di errori di qualsiasi natura, ma non può recuperare le somme già corrisposte, a meno che l'indebita prestazione sia dipesa dal dolo dell'interessato.

La Cassazione fa riferimento ad un principio generale di irripetibilità delle pensioni secondo cui "le pensioni possono essere in ogni momento rettificate dagli enti erogatori in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione o di erogazione della pensione, ma non si fa luogo al recupero delle somme corrisposte, salvo che l'indebita prestazione sia dovuta a dolo dell'interessato”, ipotesi, peraltro, assai improbabile o difficile da dimostrare.

Si tratta di una pronuncia che cerca di porre rimedio ad un fenomeno molto frequente nel rapporto tra Inps e pensionati.

…..(la Cassazione sezione lavoro è n. 482/2017)

Se anche tu hai ricevuto una comunicazione di tal genere, contatta un nostro avvocato previdenziale per accertare che la richiesta da parte dell’Inps sia legittima, prima di accettare di restituire la somma richiesta.

Per info e contatti: studiolegale@dirittissimo.com  

visita: www.dirittissimo.com - sezione previdenziale

Avv. Luca Canevari



mercoledì 3 aprile 2019


LICENZIAMENTO DISCIPLINARE DEL LAVORATORE DIRIGENTE

Qualora fosse già nota la volontà di procedere al licenziamento da parte dell’azienda ancor prima di attendere le giustificazioni del lavoratore, ciò ha valenza per fare ritenere illegittimo il successivo recesso?

L’Avvocato del Lavoro preliminarmente chiarisce che l’Art. 7 della L. 300/1970 prevede che le norme disciplinari relative alle sanzioni devono essere portate a conoscenza dei lavoratori.

Pertanto, il lavoratore non può subire alcun provvedimento disciplinare senza che i suoi comportamenti gli siano stati contestati preventivamente.

Più precisamente, il comma 5 dell’articolo in oggetto prevede un termine perentorio di cinque giorni dal ricevimento della contestazione disciplinare, affinché il lavoratore possa giustificare l’addebito disciplinare contestatogli. Da ciò si evince che non rileva il momento in cui si sia formato nel datore il proposito di licenziare il dipendente, bensì l’esternalizzazione del relativo atto (lettera di contestazione).

È questo il caso della sentenza oggetto del commento del Nostro Avvocato del Lavoro, dove la Corte di Cassazione, si è occupata di un caso di licenziamento avvenuto al termine di un regolare procedimento disciplinare, rispetto al quale il dipendente, in maniera fortuita, era riuscito ad ottenere un documento che attestava la volontà dei vertici societari di procedere al licenziamento ancor prima delle giustificazioni.

Essendo un dirigente, il Tribunale ha accertato che il licenziamento era da ritenersi giustificato ai sensi del Ccnl, pur non essendo corredato da una giusta causa, con il conseguente diritto del lavoratore a percepire l’indennità sostitutiva del preavviso.

La richiesta avanzata dall’Avvocato del Lavoro di far dichiarare illegittimo il licenziamento subito dal dirigente veniva respinta ed in secondo grado la Società era stata condannata.

A fronte di tale pronuncia, un collega Avvocato del Lavoro ricorreva in Cassazione, in favore del dirigente lamentando gravi violazioni di legge inerenti al procedimento disciplinare (Art. 7 L. 300/1970) e altresì la violazione della disciplina degli atti unilaterali recettizi (Artt. 1334 e 1335 c.c).

In tale caso, il giudice di merito, oltre a sottolineare il noto principio che vede applicare le garanzie di cui all’Art. 7 l. 300/1970 anche alla figura del dirigente, ha affermato che un documento  diretto ad un terzo e non inviato al diretto interessato, per il quale si preannuncia, al termine di una sanzione disciplinare, l’intenzione di licenziare, non può in alcun modo configurare un licenziamento, considerando la sua natura recettizia e dunque, il medesimo si perfeziona solo una volta giunto a conoscenza del destinatario.

Nel caso oggetto dell’analisi dell’Avvocato del Lavoro, si tratta di una comunicazione confidenziale, alla quale non è possibile riconoscere né una natura negoziale né natura di atto giuridico in senso stretto.

Pertanto, la Suprema Corte afferma che ‹‹non rileva il momento in cui si sia formato nel datore il proposito di licenziare il dipendente, ma quello dell’esternazione del relativo atto››. Pertanto, finché non sia stato manifestato attraverso un atto avente efficacia esterna, non solo è da considerarsi non idoneo a sciogliere il rapporto di lavoro, ma è pur sempre superabile alla luce delle giustificazioni offerte nel corso del procedimento disciplinare.

L’Avvocato del Lavoro rileva come, soprattutto per quanto riguarda le imprese aventi natura societaria è possibile che il Consiglio di Amministrazione deliberi, in prospettiva di un licenziamento di un dipendente sottoposto a procedimento disciplinare, prima del decorso del termine.

Pertanto solo rivolgendosi ad un esperto Avvocato del Lavoro, il lavoratore potrà sapere preventivamente se sussistono i presupposti per poter procedere efficacemente all’impugnazione di un licenziamento emesso nei confronti di un dirigente.

Se desideri esporci il Tuo caso, scrivi a: studiolegale@dirittissimo.com per metterti in contatto con il nostro avvocato del Lavoro

www.dirittissimo.com - sezione lavoro 



LAVORI USURANTI: Possibilità di pensione in anticipo. Con quali requisiti?

Se svolgi delle mansioni particolarmente pesanti, oppure ti assegnano lavori di notte potresti rientrare nella categorie di coloro che svolgono lavori usuranti.

L’elenco di tali lavori è previsto in un decreto del 2011 e comprende:

-chi lavora in galleria, cava o miniera;
-chi lavora in cassoni ad aria compressa;
-chi lavora ad alte temperature;
-chi lavora il vetro cavo;
-chi lavora per asportare l’amianto;
-lavori svolti prevalentemente e continuativamente in spazi ristretti (attività di manutenzione, riparazione navale)
-conducenti di veicoli adibiti al servizio pubblico di trasporto collettivo, con capienza superiore a 9 posti;
-chi lavora a catena o in serie.

Per aver accesso alla pensione agevolata, l’attività usurante deve esser stata svolta:
-per almeno 7 anni, negli ultimi 10 anni di vita lavorativa;
-per almeno metà della vita lavorativa

Il beneficio della pensione di anzianità riconosciuto a tali categorie, è esteso anche a chi svolge lavori in orari notturni.
Si tratta di una particolare tipologia di pensione di anzianità, raggiungibile con una determinata quota minima (ovvero la somma del requisito di età e del requisito di contribuzione).
La quota è pari a 97,6 con almeno:
1)61 anni e 7 mesi di età;
2)35 anni di contributi.
A seconda del tipo di contribuzione, possono essere alzati di 1 anno i requisiti (es. per chi ha una contribuzione mista da lavoro dipendente ed autonomo).

COME E QUANDO INVIARE LA DOMANDA DI PENSIONE PER LAVORO USURANTE:

Prima della domanda di pensione, occorre inviare una domanda all’Inps per certificare il possesso dei requisiti. 

La domanda va inviata entro il 1 Maggio dell’anno precedente a quello in cui si maturano i requisiti agevolati.

L’Inps certifica il possesso dei requisiti e da’ la possibilità poi di chiedere la pensione vera e propria.

Per gli adempimenti necessari alla presentazione della domanda, contatta un avvocato del lavoro e previdenziale di Dirittissimo ai nostri contatti:

mail: studiolegale@dirittissimo.com  – tel: 328.2408154