Intermediari finanziari: presunzione legale della sussistenza del nesso
causale fra inadempimento informativo e pregiudizio del risparmiatore
(Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sent. n. 7905 del 17 aprile
2020)
In questo articolo si intende mettere in evidenza una recentissima pronuncia della Cassazione che attribuisce responsabilità con conseguente dovere di risarcimento del danno per la perdita subita alle Banche che non adempiono al dovere giuridico di informare correttamente i risparmiatori; esiste una presunzione legale di sussistenza del nesso di causalità fra inadempimento della banca e pregiudizio subito dal risparmiatore.
La Prima Sezione civile della
Cassazione, accogliendo (con rinvio) il ricorso di alcuni obbligazionisti
Parmalat contro Intesa San Paolo, ha chiarito le conseguenze derivanti
dall'omessa informazione al cliente: l'intermediario finanziario che non
adempie correttamente agli obblighi informativi deve risarcire il risparmiatore
per la perdita subita, in una sorta di automatismo giuridico ("presunzione
legale") che postula la sussistenza del nesso causale fra inadempimento
informativo e pregiudizio.
Nella fattispecie, alcuni
risparmiatori avevano lamentato di aver subito sollecitazioni da parte di
dipendenti della Banca che avevano loro evidenziato la natura particolarmente
vantaggiosa delle operazioni proposte, in assenza della consegna del contratto
di intermediazione, del prospetto informativo e di un documento di sintesi sui
rischi connessi alle operazioni finanziarie, sostenendo di non essere stati
informati - in particolare - dell’alto rischio insito nell’operazione,
ottenendo - sul presupposto accertato della violazione degli obblighi informativi
posti a carico dell’intermediario - declaratoria di risoluzione per
inadempimento dei contratti di intermediazione finanziaria, con condanna della
Banca a pagare agli attori le somme corrispondenti a quelle impiegate per l’acquisto
dei titoli (sentenza Tribunale di Firenze, 25.9.2009).
La Corte territoriale (Corte di
Appello di Firenze, sentenza 3.8.2015) aveva invece accolto il gravame della
banca valorizzando la "propensione al rischio" dei risparmiatore e le
"scelte pregresse" per dedurne che avrebbero comunque portato a
termine l'investimento.
La Suprema Corte, con la
decisione in commento, capovolge il ragionamento sostenendo che l’eventuale dimostrazione
di una generica propensione al rischio dell'investitore, "desunta anche da
scelte intrinsecamente rischiose pregresse", non vale ad elidere il nesso
causale "perché anche l'investitore speculativamente orientato e
disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e
rischiosa" avendo sotto mano "tutte le opzioni dello stesso genere
offerte dal mercato".
Il principio di diritto
scaturito dalla decisione in commento è il seguente: "Dalla funzione
sistematica assegnata all'obbligo informativo gravante sull'intermediario,
preordinato al riequilibrio dell'asimmetria del patrimonio
conoscitivo-informativo delle parti in favore dell'investitore, al fine
consentirgli una scelta realmente consapevole, scaturisce una presunzione
legale di sussistenza del nesso causale fra inadempimento informativo e
pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell'intermediario;
tale prova, tuttavia, non può consistere nella dimostrazione di una generica
propensione al rischio dell'investitore, desunta anche da scelte
intrinsecamente rischiose pregresse, perché anche l'investitore speculativamente
orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta
speculativa e rischiosa nell'ambito di tutte le opzioni dello stesso genere
offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati
segnalati".
Nei contratti relativi alla
prestazione di servizi di investimento, infatti, l’intermediario finanziario la
l’obbligo di fornire all’investitore un’informazione adeguata in concreto,
“tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione
alle caratteristiche personali ed alla situazione finanziaria del cliente”: in
altri termini, l’assolvimento di tale obbligo implica la formulazione, da parte
dell’intermediario stesso, di indicazioni idonee a descrivere la natura, la
quantità e la qualità dei prodotti finanziari ed a rappresentarne lo specifico
coefficiente di rischio.
Secondo la Cassazione, i predetti
obblighi di informazione impongono la comunicazione di tutte le notizie
conoscibili in base alla necessaria diligenza professionale e l’indicazione
specifica di tutte la ragioni idonee a rendere un’operazione inadeguata
rispetto al profilo di rischio dell’investitore (comprese, finanche, quelle
relative al rischio di default dell’emittente con conseguente mancato rimborso
del capitale investito, in quanto “tali informazioni costituiscono reali
fattori per decidere, in modo effettivamente consapevole, se investire o
meno”).
Ne deriva che la prova del nesso
causale non è eliminata dal mero rilievo di elementi generici, come ad esempio
il profilo speculativo ovvero l’elevata propensione al rischio
dell’investitore, dovendosi infatti escludere che il cliente possa accettare
anche i profili di rischiosità del prodotto finanziario che gli sono ignoti e
soni invece conosciuti o prevedibili da parte dell’intermediario finanziario.
Pertanto, prosegue la Corte, “sia l’adeguatezza dell’operazione al profilo di
rischio del cliente, sia la buona conoscenza del mercato finanziario da pare
sua sono totalmente privi di valore inferenziale quanto alla circostanza che il
cliente steso, se informato, avrebbe comunque proceduto all’acquisto”.
Il fatto che un investitore
propenda per investimenti rischiosi non toglie, infatti, che egli selezioni tra
gli investimenti rischiosi quelli a suo giudizio aventi maggiori probabilità di
successo, grazie appunto alle informazioni che l’intermediario è tenuto a
fornirgli o altrimenti reperite.
Avv. Enrico Vallarolo
Per info e contatti scrivi a: studiolegale@dirittissimo.com
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