Incidenti stradali causati dalla cattiva manutenzione delle strade: quale
responsabilità dell’Ente Pubblico? Gli ultimi arresti della Cassazione.
Tema
sempre dibattuto nella giurisprudenza dei Tribunali è quello riguardante la
responsabilità civile risarcitoria dell’Ente Pubblico proprietario, ovvero
gestore, della strada, nei confronti di quei soggetti che (troppo spesso) sono
vittime di incidenti stradali causati dalla cattiva manutenzione della via
pubblica. L’argomento rimane, purtroppo, ancora di attualità: basti ricordare
gli attuali problemi dovuti ai danni alle auto, o ai motocicli, per via delle strade
gravemente dissestate nel Comune di Roma Capitale.
Questo
articolo intende fare chiarezza su un tema che ha visto, nel corso del tempo, mutare
gli orientamenti della Giurisprudenza, la quale, anche al suo vertice, ha dato in
alcuni casi risposta affermativa alla domanda risarcitoria, in altri, identici
o similari, invece, risposta contraria.
Quali
sono, allora, per l’utente della strada pubblica, oggi, i punti fermi ai quali
ancorarsi al fine di essere risarcito dall’Ente responsabile della cattiva
manutenzione e che abbia causato danni a persone e/o a cose?
In
quali casi si ha effettivamente diritto al risarcimento? Con quali limiti?
Cosa
occorre provare?
Cosa
invece deve provare l’Ente Pubblico (ad esempio, il Comune, ovvero la Provincia
ecc.) al fine di andare esente da responsabilità civile?
Due
recentissime decisioni della Corte Suprema di Cassazione, entrambe depositate
l’1 febbraio 2018, sono particolarmente preziose ai nostri fini, in quanto
fanno il punto sul più attuale “stato dell’arte” della materia, ne enucleano i
principi fondamentali, e pretendono avere raggiunto uno stabile approdo
interpretativo ed applicativo.
Va,
innanzitutto, detto che l’utente della strada pubblica, che subisca danni per
causa della medesima, trova la propria fondamentale tutela risarcitoria
nell’art. 2051 del Codice Civile, il quale afferma: “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in
custodia, salvo che provi il caso fortuito”. La giurisprudenza ha da tempo (correttamente)
applicato tale disposizione normativa alle strade pubbliche, in quanto cose custodite dallo Stato o da altro
Ente (Comuni, Province, Città Metropolitane, Regioni etc.).
La
prima Sentenza, della III Sezione Civile della Cassazione, la n. 2479/2018,
riguarda un triste caso di morte di un soggetto, il quale, a causa della
presenza di una transenna rovesciata in prossimità di un tombino con coperchio
non fissato, ed a causa del pessimo stato del manto stradale (che presentava
profonde crepe e scanalature dell’asfalto), aveva perso il controllo del mezzo,
ed era stato investito da una vettura proveniente dal lato opposto della
carreggiata.
Sia
il Tribunale, in primo grado, che la Corte d’Appello in secondo grado, avevano
rigettato le domande di risarcimento dei danni da morte del congiunto promosse
dai famigliari del deceduto.
Il
Tribunale, in primo grado, non aveva, erroneamente, nemmeno applicato la norma
dell’art. 2051 c.c., ma quella diversa, e generale, dell’art. 2043 c.c., meno
favorevole per il danneggiato.
La
Corte d’Appello, in secondo grado, ha applicato l’art. 2051 c.c., ma ha negato
il risarcimento, sostenendo che:
1) i danneggiati non avevano dato la
dimostrazione del rapporto di causalità tra la cosa (la strada) e il sinistro,
dato che la transenna, pur rovesciata, avrebbe potuto, secondo la Corte, essere
avvistata in anticipo, e dato che non era dimostrato che l’eventuale
segnalazione con luce rossa del tombino malfermo avrebbe evitato l’incidente;
2) con riferimento al manto stradale, la
Corte d’Appello ne attesta lo stato di grave dissesto, ma, tuttavia, avendo
accertato che il medesimo era tale da molto tempo, ha affermato che il
conducente del motociclo, conoscendo il tratto di strada, aveva compiuto con
assoluta imprudenza e con grave colpa la manovra di sorpasso, impegnando il
tratto fortemente dissestato.
La Corte di
Cassazione, con la Sentenza citata, afferma che la Corte di Appello ha errato
nel negare il risarcimento del danno ai congiunti, in quanto:
- la
responsabilità ex art. 2051 c.c.
postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di
fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di
controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di
escludere i terzi dal contatto con la cosa (Cass. n. 15761/2016);
- ad
integrare la responsabilità è necessario (e sufficiente) che il danno sia stato
"cagionato" dalla cosa in custodia, assumendo rilevanza il solo dato
oggettivo della derivazione causale del danno dalla cosa, mentre non occorre
accertare se il custode sia stato o meno diligente nell'esercizio del suo
potere sul bene, giacché il profilo della condotta del custode è del tutto
estraneo al paradigma della responsabilità delineata dall'art. 2051 c.c.;
- ne
consegue che il danneggiato ha il solo onere di provare l'esistenza di un
idoneo nesso causale tra la cosa ed il danno, mentre al custode spetta di
provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, nel
cui ambito possono essere compresi, oltre al fatto naturale, anche quello del
terzo e quello dello stesso danneggiato;
- si tratta,
dunque, di un'ipotesi di responsabilità oggettiva, con possibilità di prova
liberatoria, nel cui ambito il caso fortuito interviene come elemento idoneo ad
elidere il nesso causale altrimenti esistente fra la cosa e il danno;
- non può
escludersi, invero, che un'eventuale colpa venga fatta specificamente valere
dal danneggiato, ma, trattandosi di azione ex
art. 2051 c.c., la deduzione di omissioni o violazioni di obblighi di legge, di
regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode può essere
diretta soltanto a rafforzare la prova dello stato della cosa e della sua
attitudine a recare danno, sempre ai fini dell'allegazione e della prova del
rapporto causale tra la prima e il secondo; né è da escludere che, viceversa,
sia il custode a dedurre la conformità della cosa agli obblighi di legge o a
prescrizioni tecniche o a criteri di comune prudenza al fine di escludere
l'attitudine della cosa a produrre il danno: in entrambi i casi si tratta di
deduzioni volte a sostenere oppure a negare la derivazione del danno dalla cosa
e non, invece, a riconoscere rilevanza al profilo della condotta del custode.
- resta
dunque fermo che, prospettato e provato, dal danneggiato, il nesso causale tra
cosa custodita ed evento dannoso, la colpa o l'assenza di colpa del custode
rimane del tutto irrilevante ai fini dell'affermazione della sua responsabilità
ai sensi dell'art. 2051 c.c.
- Il caso
fortuito può essere integrato dalla stessa condotta del danneggiato (che abbia
usato un bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo)
quando essa si sovrapponga alla cosa al punto da farla recedere a mera
occasione o "teatro" della vicenda produttiva di danno, assumendo
efficacia causale autonoma e sufficiente per la determinazione dell'evento
lesivo, così da escludere qualunque rilevanza alla situazione preesistente;
La Corte
afferma poi, esplicitamente, che caso fortuito esimente l’Ente Pubblico dalla
responsabilità può essere una modifica repentina della strada stessa causata da
fatti esterni, come il rilascio di una macchia d’olio da un veicolo, o una
pioggia eccezionale: questi sono esempi di caso fortuito esimente, in quanto,
data la modificazione repentina della strada, l’Ente non ha il tempo materiale
per provvedere a porre tempestivo rimedio. Tuttavia, il permanere nel tempo
della situazione eccezionale (ad esempio, una macchia d’olio lasciata
sull’asfalto per un intero giorno) non giustifica più l’Ente gestore della
strada, il quale avrebbe potuto, e dovuto, rimediare alla insidia.
La
Corte di Cassazione annulla, quindi, la sentenza della Corte d’Appello, e
rinvia alla medesima per una nuova pronuncia, sottolineando la
contraddittorietà della decisione, che da un lato aveva riconosciuto lo stato
di grave dissesto della strada, e, dall’altro, ha rifiutato il risarcimento
sostenendo la assoluta negligenza del de
cuius. Invero, nel caso di specie, sostiene la Cassazione, non si poteva
assolutamente applicare il principio secondo cui la colpa del danneggiato
esclude il diritto al risarcimento: ciò che non può darsi, evidentemente,
quando - come nel caso esaminato dalla Corte - l'evento dannoso si sia
verificato "all'interno" di una situazione di macroscopica
insidiosità della cosa (dalla sentenza di di appello emerge che il tratto di
asfalto dissestato e interessato da profonde solcature era esteso per ben 35 metri,
con un'ampiezza che variava da 2 metri - a valle - a 40 centimetri a monte, in
prossimità del tombino e della transenna rovesciata), ove non emerga che tale
situazione sia stata del tutto ininfluente nel determinismo dell'evento, ossia
- nella specie - che il sinistro si sarebbe verificato egualmente, quale
effetto della imprudente condotta di guida, anche se la strada si fosse
presentata in condizioni di normalità (priva di sconnessioni dell'asfalto, di
un tombino non segnalato e di una transenna rovesciata a terra).
La
seconda decisione della Cassazione del 2018, la Ordinanza n. 2481 della III
Sezione Civile, è interessante in quanto ribadisce gli stessi principi
concernenti il risarcimento del danno derivante da cose in custodia di cui alla
Sentenza n. 2479. Tuttavia, rigetta il ricorso del danneggiato, soffermandosi
sulla qualificazione del comportamento colposo di quest’ultimo come causa
escludente il risarcimento.
Trattasi
di gravi lesioni di un soggetto che, percorrendo a piedi un tratto di pavimentazione
stradale in cui vi sono grossi ciottoli, al fine di eseguire l'attraversamento
della strada e raggiungere il lato opposto, cade a terra a causa della
rotazione di uno dei ciottoli.
Il
Tribunale nega il risarcimento alla persona osservando che il selciato su cui
era caduta la signora costituiva un canale di scolo delle acque dal fondo
irregolare e con doppia inclinazione, il cui passaggio era "intuitivamente
pericoloso" perché ne era ben percepibile la conformazione e "il
pericolo che i sassi si muovono se ci transita sopra"; ritiene, quindi,
che l'attrice danneggiata, avendo deciso di scendere dall'ampio marciapiede e
di transitare sopra detto selciato senza utilizzare gli appositi attraversamenti,
non avesse proceduto con la cautela che la condizione dei luoghi richiedeva,
non valutando "correttamente... la difficoltà del passaggio, che è pure
era evidente" e così riponendo "un affidamento soggettivo, a dir
poco, anomalo sulle sue caratteristiche", adottando, dunque, un comportamento
tale da interrompere "il nesso causale tra obbligo di custodia e l'evento
dannoso lamentato".
La
Corte di Appello dichiara inammissibile l’impugnazione della signora.
La
Corte di Cassazione conferma la negazione del diritto al risarcimento del danno,
qualificando il comportamento colposo della attrice come caso fortuito.
La
Corte afferma che il caso fortuito può essere rappresentato anche dalla condotta
del danneggiato, ed è connotato dall'esclusiva efficienza causale nella
produzione dell'evento; a tal fine, la condotta del danneggiato deve essere valutata
tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al
principio di solidarietà espresso dall'art. 2 della Costituzione. Pertanto,
quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e
superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele
normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, il comportamento
imprudente di quest’ultimo può essere tale da far venire meno il diritto al
risarcimento.
La
Corte sostiene che il Tribunale ha valutato la condotta della danneggiata in
base alle risultanze probatorie acquisite e l'ha ritenuta connotata da
peculiare imprudenza, tale da integrare ipotesi di caso fortuito idoneo a recidere
il nesso causale tra la cosa e il danno. A fronte di una situazione della cosa
accertata come obiettivamente pericolosa (selciato che costituiva un canale di
scolo delle acque dal fondo irregolare e con doppia inclinazione) l'utente
della strada era, infatti, tenuto, secondo la Corte, ad un uso prudente e
secondo le cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle
circostanze (che consentivano anche agevoli percorsi alternativi); comportamento,
questo, che, invece, non è stato adottato dalla signora.
In
sintesi: al fine di ottenere il risarcimento, l’utente della strada cosa deve
fare e provare?
1)
il danneggiato ha soltanto l’onere di dimostrare l’accadimento del fatto (ad
esempio che effettivamente si trovava in quel luogo a quell’ora, che percorreva
quella strada, che effettivamente ha subito dei danni etc.);
2)
il danneggiato deve poi dimostrare che i danni siano stati causati dalla strada
(ad esempio che sia uscito di strada mentre la percorreva senza che altro
accadesse, come ad esempio un veicolo che tamponi l’auto del danneggiato, per
ubriachezza del conducente, e lo faccia finire fuori strada);
3)
l’utente non deve versare in una colpa talmente grande, che da sola ha causato
il danno (ad esempio soggetto che percorre una strada dissestata nella quale
era segnalato divieto di transito).
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www.dirittissimo.com
Avv. Alessandro Milani